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E uscimmo a non sentir le balle

Andrea Mercenaro

Anche Dante avrebbe avuto problemi con la quarantena se gli fosse capitato di vedere certa tivvù

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Stai in casa, ti dicono, guarda la tivù. E noi si obbedisce. Ma se in quei tempi lontani fosse esistito per assurdo l’apparecchio, e con esso le trasmissioni di approfondimento, e tra esse l’approfondimento della signora Gruber, con le presenze incessanti dei Travaglio, degli Scanzi, o se no dei Damilano. E per assurdo immaginando Dante Alighieri, poeta sommo testé celebrato, oltreché cronista formidabile, accoccolato in poltrona, il quale, accesa la tivù, fosse capitato su “8 e ½”. E immaginandolo sbalordito a sua volta davanti alla montagna di letame che quel trust di cervelli riesce sempre ad accumulare. E niente, finito, tutto qui. Solo per dire di un potere della tivù. E di come mediocri robazze potrebbero cambiare perfino il corso della più sublime letteratura. E di come l’ultimo verso dell’Inferno, dell’Inferno di Dante, stiamo dicendo, avrebbe rischiato anch’esso di concludersi nel terribilmente meno poetico, quantunque consolante: “E quindi uscimmo a non sentir le balle”.

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