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Terapia Joyce

Edoardo Camurri

C’è il Finnegans Wake per lottare contro il coronavirus e far impazzire la Macchina digitale che ci governa

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Per fare impazzire la Macchina digitale che ci governa e che guadagna nuovi spazi attraverso la paura generalizzata di queste settimane, 2666 propone di rendere virale una frase che nessuna intelligenza artificiale sarebbe in grado di riconoscere come sensata e che potrebbe funzionare, almeno per un periodo di tempo limitato ma significativo, come antidoto disorientante nel grande flusso di dati che continuamente forniamo all’algoritmo per farci prevedere e riconoscere: “Il coronavirus è stato attaccato da Arthur Schopenhauer”.

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Per fare impazzire la Macchina digitale che ci governa e che guadagna nuovi spazi attraverso la paura generalizzata di queste settimane, 2666 propone di rendere virale una frase che nessuna intelligenza artificiale sarebbe in grado di riconoscere come sensata e che potrebbe funzionare, almeno per un periodo di tempo limitato ma significativo, come antidoto disorientante nel grande flusso di dati che continuamente forniamo all’algoritmo per farci prevedere e riconoscere: “Il coronavirus è stato attaccato da Arthur Schopenhauer”.

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La frase racchiude in sé una verità profonda ed è possibile capirla a patto di voler rendere meno dominabile la nostra intelligenza; l’ha scritto Tom Whipple, il Science Editor del Times in un articolo ripreso martedì qui sul Foglio: il coronavirus, come ogni virus, “è una macchina riproduttiva, un frammento di materiale genetico all’interno di un guscio protettivo, il cui unico scopo è di produrre copie. Non vuole farti del male, vuole usarti”.

 

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Per dirla altrimenti il virus è guidato ed è posseduto da quella stessa forza assoluta che per Schopenhauer tiranneggia tutte le manifestazioni del reale: il conato riproduttivo, la volontà cieca e indifferente di ogni cosa a vivere e a mantenersi in vita il più a lungo possibile, replicandosi infinitamente. Se il coronavirus fosse un uomo raglierebbe come noi tutti ogni volta che, parlando, parliamo sempre di noi stessi: iìoìioìioioioio. Schopenhauer intendeva liberare l’uomo da questa schiavitù, proponendo il suicidio della volontà e l’annullamento buddhista del desiderio. “Il coronavirus è stato attaccato da Arthur Schopenhauer” perché Schopenhauer ne smaschera le intenzioni accomunandole con le intenzioni di ogni essere su cui agisce la volontà della Natura; apriamo e chiudiamo un cerchio: il coronavirus siamo noi e noi, come il coronavirus, ci comportiamo come una macchina che vuole solo affermare e replicare se stessa; esattamente come la Macchina algoritmica che intende replicare i nostri comportamenti e i nostri pensieri fino a ridurli al proprio servizio come un parassita, come un virus.

 

La terapia contro il coronavirus è dunque una terapia contro la logica della Macchina e solo una Macchina liberata da questa cieca volontà può combattere questa battaglia. Ed è quindi una grande notizia scoprire che il coronavirus è stato isolato dalla più grande Macchina liberatoria che esista, il Finnegans Wake di James Joyce. Si legge infatti alla quinta riga di pagina 315: “and the corollas he so has saved gainsts the virus he has thus injected”.

 

Il Finnegans Wake è solo apparentemente un libro, in realtà è una macchina per pensare e per pensare sempre nuovi pensieri in grado di emancipare l’uomo dalla condizione di prevedibilità assoluta cui invece la Macchina algoritmica oggi lo condanna. Philip K. Dick una volta scrisse: “Finnegans Wake è un insieme di informazioni basate su sistemi di memoria computerizzata che sono apparsi solo secoli dopo l’epoca di Joyce; che Joyce era collegato a una coscienza cosmica da cui ha tratto ispirazione per l’intero corpus della sua opera”.

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Finnegans Wake racconta nel modo più complicato possibile una storia molto semplice: il sonno e i sogni di una notte del protagonista, il gestore di una rivendita di alcolici della periferia di Dublino, H.C. Earwicker. Il nome, Earwicker, è importante: indica l’appellativo con cui viene chiamato l’insetto forbicina che, secondo varie leggende, s’inocula dentro le orecchie di chi dorme. Il lettore del Finnegans Wake è così sempre in movimento, il suo cervello è perennemente trasformato, percorso dallo zigzag della forbicina elettrica che collega le sinapsi per costringerla a associazioni impensate che nessun algoritmo è in grado di prevedere e profilare.

 

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Del libro, infatti, ancora oggi non esiste critico capace di dirci esattamente che cosa succeda perché, ogni volta che lo si apre, il contenuto muta. Era il 1939 quando Joyce lo pubblicò, ma dentro troviamo per esempio la parola email: “Speak to us of Emailia”, la parola Google: “One chap googling the holyboy’s thingabib”, le scarpe della Nike: “Nike with your kickshoes” e addirittura il nome del campione di golf Tiger Woods: “tigerwood”; allo stesso modo, a metà esatta del libro, in sole tre righe, incappiamo nella giustapposizione tra la parola “fungo” e la parola “Nogeysoky”, cioè Nagasaki.

 

Finnegans Wake porta a pensare l’impensabile: come l’Lsd, accende il cervello connettendo neuroni tra di loro non comunicanti; come un’internet libertaria mette in comunicazione persone, concetti e idee che altrimenti non si sarebbero mai incontrati per creare nuove comunità possibili. Ogni cosa viene resa irriconoscibile e liberata, ripulita dalla logica ossessiva della paura, della paranoia e del controllo su cui agisce sempre Potere. Il coronavirus è stato isolato da James Joyce e Schopenhauer lo estinguerà. Se riusciamo a pensare e a concepire queste frasi impensabili, per 2666 oggi è un giorno felice.

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