Luca Zaia, Matteo Salvini, Roberto Maroni (foto LaPresse)

Perché il ritorno del federalismo è un colpo alla Lega di Salvini

L'autonomismo andrà nel programma di centrodestra. Salvini fa buon viso a cattivo gioco, ma il sovranismo è morto nelle urne

Roma. Come dopo ogni elezione tutti dicono di aver vinto, così anche per il referendum consultivo in Lombardia e Veneto va in scena il solito, e noto gran ballo, il valzer di sempre: dolce analisi del voto. E allora ecco Matteo Salvini, il segretario grigio-verde che rivendica il successo alla sua personale Lega di lotta e di sovranità, partito locomotiva del centrodestra, dice lui, altro che Forza Italia e Silvio Berlusconi. E il Pd lombardo, come fa il sindaco di Bergamo Giorgio Gori, pure lui gonfia i muscoli, si mostra e si loda, dicendo che “lì ci sono anche i voti nostri”. E insomma destra e sinistra, sovranisti e riformisti, tutti primi al traguardo del consenso. E in questo intreccio sinfonico di trionfi, quasi non ci si capisce nulla, a meno che non si dia retta agli umori, ai non detti, al tono con il quale nelle telefonate riservate, negli incontri al ristorante, nelle valutazioni di corridoio e di segreteria in queste ore i partiti stanno in realtà maneggiando la storia dei due referendum.

    

“La verità è che Salvini era abbastanza tiepido”, confessa allora Paolo Romani, berlusconiano nordista, capogruppo di Forza Italia in Senato, “e gli elettori del Pd non si sono mossi. Basta guardare il numero dei voti in Lombardia”. Il referendum, fino a che le urne erano aperte e i sondaggi incerti, aveva solo due padri: Luca Zaia, che ora chiede lo statuto speciale per il Veneto, e Roberto Maroni. Gli altri si sono aggiunti dopo. Dopo aver visto il risultato. “Che ha un effetto innanzitutto”, dice Gianni Fava, leghista, assessore della giunta lombarda: “L’idea di Salvini di abbandonare il settentrionalismo è morta ieri. Lui ora ha il dovere di ripensare la sua idea di Lega”. 

   

E allora Salvini dà mandato ai suoi deputati di dichiarare vittoria, a suo nome, e per le sue bandiere. Ma, come dice Maurizio Gasparri, osservatore interessato, “lui in questi mesi si è impegnato soprattutto per la lista ‘Noi con Salvini’ al sud. Con risultati, diciamo così… ‘misurabili’”, cioè pessimi in tutte le ultime tornate amministrative. Dunque, nel clima di coabitazione che caratterizza ormai da anni la Lega, in questo partito che ha ritrovato energia e spirito grazie a Salvini ma pure ha le sue più solide fondamenta nell’esperienza amministrativa di Maroni e di Zaia, nella Lega sempre un po’ incerta sulla propria identità, la storia dei referendum precipita rafforzando l’ala governista e regionale dei due presidenti, con le loro parole d’ordine che riemergono con una certa efficacia dal passato bossiano.

    

Ed ecco allora espressioni come “settentrionalismo”, “federalismo”, “autonomismo”, che ritornano, con un’impronta ancora dotata di sostanza e capacità di mobilitazione. “Il federalismo inteso come la ricerca di una diversa articolazione dello stato è evidentemente un’istanza fortissima”, dice Romani, “ed è un’istanza condivisa da tutto il centrodestra”, aggiunge. E allora il federalismo, resuscitato dalle urne referendarie, sta già diventando il cemento di una nuova alleanza con la Lega, l’elemento qualificante di un programma per le prossime elezioni. Dice Fava: “La storia di questi vent’anni con Berlusconi, pur tra alti e bassi, ha sempre avuto un unico comune denominatore. L’elettore di Forza Italia ha fatto suoi i temi federalisti della Lega. E in questi ultimi anni, l’assenza della Lega su questi temi ha reso Forza Italia al nord ancora più federalista”.

    
I due partiti si avvicinano, e contemporaneamente questo movimento riduce anche le pretese di Salvini, che vede smentita la sua linea politica mentre si rafforza il gruppo della Lega storica, quella che con Berlusconi ha i migliori rapporti. “Ora c’è di nuovo un elemento sul quale convergere”, spiega Fava. “La storia del no euro, che mette a rischio i nostri rapporti con Berlusconi, si allontana. Il federalismo unisce il centrodestra. E gli elementi che uniscono, va da sé, sono meglio di quelli che dividono. Berlusconi non esce indebolito da questa vicenda. Anzi. Si apre una nuova, e più interessante, prospettiva”. Al Cavaliere premeva soprattutto una cosa, non darla vinta e non farsi mettere l’anello al naso da Salvini. E questo rischio sembra scongiurato. Almeno ancora per un po’.