Legge elettorale. Abbracci per Ettore Rosato dopo il voto finale (foto LaPresse)

Il vero inciucio è l'Italia del veto

Claudio Cerasa

Aiuto, l’ingovernabilità. Aiuto, l’instabilità. Perché il dibattito sulla legge elettorale (buon compromesso) smaschera alla grande i nuovi professionisti del veto che protestano contro un mondo imperfetto che hanno creato (ops)

Nel surreale dibattito generato dall’accelerazione voluta dalla maggioranza di governo sulla legge elettorale, accanto all’ampio sciocchezzaio del Movimento 5 stelle, un partito para-fascista che vuole abolire delle norme previste dalla Costituzione per superare il fascismo e che considera fasciste delle procedure parlamentari previste dalla Costituzione (chiamate l’ambulanza), esiste un altro fronte politico e culturale, altrettanto comico, che negli ultimi giorni ha seguito con un fondo di profonda diffidenza il tentativo di approvare il cosiddetto Rosatellum, mettendo insieme concetti che suonano più o meno così: non vogliamo una legge elettorale che forzi le procedure parlamentari; non vogliamo una legge elettorale che favorisca l’inciucio; non vogliamo una legge elettorale che non garantisca la governabilità; non vogliamo una legge elettorale con i parlamentari nominati dai partiti.

 

Nell’arco degli ultimi giorni, questo ragionamento lo avete trovato dolcemente snocciolato sulle prime pagine dei grandi giornali e sui divanetti dei principali talk-show ma l’elemento surreale della discussione è che coloro che denunciano l’errata direzione dell’Italia sono gli stessi, ma proprio gli stessi, che nel migliore dei casi non hanno fatto nulla per correggere la rotta e che nel peggiore dei casi quella rotta l’hanno prodotta, generata e fortemente sponsorizzata. Per dirla in modo diretto, la legge elettorale approvata ieri sera alla Camera (buon compromesso che ha permesso al Quirinale di separare le forze affidabili da quelle meno affidabili anche in vista del futuro governo) è la fotografia perfetta di un mondo imperfetto creato da tutti coloro che hanno scelto di sabotare ogni tentativo messo in campo dalle forze politiche negli ultimi anni di trovare soluzioni in grado di trasformare la nostra repubblica in una democrazia basata più sui voti che sui veti.

 

Le élite che oggi piagnucolano per una legge che rende probabile una grande coalizione (per tutto il resto c’è il governo Dibba) sono le stesse che hanno fatto finta di nulla quando qualcuno ha cercato di superare l’anomalia di un sistema istituzionale in cui il bicameralismo paritario si salda con una disomogeneità elettorale tra Camera e Senato prevista dalla Costituzione – e che per questo da anni produce in modo quasi costante maggioranze incerte e fragili. In un primo momento, per superare questa anomalia i partiti hanno tentato di “forzare” la Costituzione attraverso la combinazione tra un sistema semi-maggioritario e una leadership forte e carismatica.

 

Ma ogni volta che un leader ha provato a governare l’Italia contro i professionisti dei veti con millimetrica regolarità si è ritrovato contro un pezzo importante di establishment desideroso di non mutare lo status quo e di abbattere il cinghialone di turno. In un secondo momento, i partiti hanno provato a cambiare la Costituzione per promuovere un sistema capace di mettere il paese al riparo dalla presenza di maggioranze instabili e da coalizioni non naturali (l’ultima volta, se non ricordiamo male, fu il 4 dicembre). Ma gli stessi opinionisti che hanno speso una vita a spiegare il rischio di mettere il paese nelle mani di un uomo solo al comando oggi sono lì a spiegarci molto tormentati che senza una riforma che permetta a qualcuno di governare si rischia la non governabilità (tu pensa) e si rischia lo sfascio (ma dai).

 

Nel caso specifico (“Questa riforma non funziona perché non garantisce la governabilità”, ha detto da Floris l’editorialista di Rep. Giannini), le élite che non hanno avuto il coraggio di schierarsi per il Sì al referendum, e che da anni tentano di far fuori ogni forma di leadership autonoma (diciamo), oggi non possono permettersi di dire molto sul “dramma” di un paese instabile in cui le uniche formule possibili da adottare per superare le sabbie mobili della frammentazione restano le forzature (per tutto il resto c’è la riforma in sei mesi di D’Alema).

 

E’ stata una forzatura poco naturale la fiducia sul Rosatellum. Così come sarà una forzatura poco naturale l’unica formula di governo immaginabile in questo momento in Italia per guidare il paese nei prossimi anni: la grande coalizione. I fessacchiotti che si divertono a lisciare il pelo al mostro del grillismo continueranno a giocare con le parole e a trasformare ogni accordo necessario in un inciucio strategico, usando le formule del fascismo immaginario per nascondere il vero totalitarismo che cova nella pancia di alcuni movimenti.

 

In questo senso, la legge elettorale con la quale andremo a votare è la fotografia perfetta dell’unico paese oggi possibile. Dove qualcuno (Renzi, Berlusconi e incredibilmente persino Salvini) tenta di forzare la mano per uscire dalle sabbie mobili. Dove qualcuno tenta di giocare con queste sabbie mobili per distruggere i propri nemici anche a costo di distruggere un paese. E dove molti di coloro che protestano contro la direzione imboccata dall’Italia dovrebbero forse chiedersi cosa hanno da brontolare, quando sono loro stessi che quella direzione l’hanno voluta, e ora non sanno che vestito mettersi. Diciamo.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.