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Merkel e il centro che vince in Europa rivela le tre anomalie dell'Italia

Umberto Minopoli

In ogni paese europeo che ha votato tra il 2015 e il 2017 il risultato è sempre stato lo stesso. Il nostro paese però potrebbe rappresentare una pericolosa eccezione

Francia e Germania: voto analogo. Come ogni altro paese europeo, che ha votato tra il 2015 e il 2017 (gli ultimi saremo noi nel 2018), il risultato è, assolutamente, lo stesso. Talvolta con slancio (Francia, Spagna, Olanda) e talvolta con qualche fatica (Gran Bretagna e Germania) il fenomeno è identico: ovunque vince il centro liberale, la formazione affidabile e che meglio rappresenta un'ispirazione di stabilità, contro derive estremiste e suggestioni populiste. E' questo il trend: un voto di tenuta moderata. Un voto politicamente chiaro, avverso ad avventure di destra e di sinistra, omogeneo e comune ad ogni paese europeo negli ultimi due anni. In virtù del quale si registra un sommovimento, una rivoluzione politica, un ridisegno della geografia politica europea: un'assoluta egemonia, nell'Europa politica reale di oggi, del partito popolare e delle formazioni liberali, la fine del bipolarismo con il partito socialista europeo, l'affidamento al centro moderato e liberale, da parte degli elettori, della funzione di argine e contenimento della destra e del populismo.

 

Questa è la storia del biennio elettorale europeo: una sentenza inequivoca. Che suona rintocchi luttuosi, anzitutto, a sinistra: o la coraggiosa fuoriuscita dai fortini dell'anchilosato residuo socialista, verso l'innovazione e la modernità liberale, sull'esempio di Renzi e Macron, o la scomparsa e la minimizzazione elettorale. Tertium non datur. Il verdetto di due anni di elezioni è chiaro: i socialisti non sono più percepiti come forza adatta e adeguata al governo. Non c'è alcun dato politico, in Europa, più chiaro e indiscutibile di questo. Questa sinistra sfibrata, afasica, in perenne oscillazione tra sistema e antisistema, che sta al governo con la nostalgia del populismo, per gli elettori europei, non ha più niente da dire.

 

E' significativo come questa irrilevanza sia introiettata come un carattere da questa sinistra sempre sconfitta. L'Spd reagisce alla débâcle vivendo come liberazione il ritorno all'opposizione. Come dire: avete ragione, siamo inservibili! E' il segno di una forza finita, che non ha più funzione, né molto da dire e che si compiace ìe si abbandona dell'emarginazione. Sbalorditivo!

 

Ora però proviamo a tradurre questo chiaro quadro europeo, di stabilità e tenuta moderata, nello scenario italiano. E compariamo le due rappresentazioni. Ne risulta l'Italia come copia deforme: una fotografia di diversità e difformità. E che rischiano di fare di noi un caso unico: in Italia, a differenza dell'Europa, può vincere il populismo. Addirittura in più di una versione: quella del Movimento 5 stelle; quella di una destra oberata dal peso dominante di Lega e fascisti; quella (assai remota, per la verità) di un confuso "campo di centrosinistra" oberato dal peso di sinistrismi inattuali e primitivi. E, addirittura, si potrebbero prefigurare (grazie alla stupidità del sistema elettorale) intrecci e sottoversioni di questi scenari populisti. Insomma: scenari di profonda eccezione rispetto al quadro europeo.

 

La causa? Tre nostre anomalie.

 

La prima: la destra moderata, Forza Italia, l'analogo della Cdu e del partito popolare europeo, qui fa blocco con la destra anti europeista e sovranista. E' un'estrosità in Europa. Berlusconi si illude di governare questa anomalia. E di scomporre il puzzle a piacimento dopo un pieno di voti al centrodestra. Non ci riuscirà. E rischia di uscirne travolto e impedito.

 

Seconda anomalia: in Italia l'allarme antipopulista è, irresponsabilmente, sottovalutato, rimosso e annebbiato. Anzitutto da quei poteri (economici, media, magistratura e pubblica amministrazione) che, in ogni formazione statale europea, hanno rappresentato una barriera sicura, responsabile e matura, al pericolo dello sfondamento populista. In Italia no. C'è appeasement con l'avventura populista. Che viene lisciata, paternalisticamente vezzeggiata e coccolata: un delirio di "sovversivismo dall'alto" delle classi dirigenti, irresponsabile e suicida, che rischia di precipitare il paese in una sorta di ghetto nella futura Europa franco-tedesca.

 

Terza anomalia: il Pd. Dovrebbe rivendicare, a pieno titolo, la sua centralità, l'analogo della Merkel, di En Marche, dei popolari di Rajoy: il polo del governo, della stabilità, della ripresa economica, della competenza di governo, del riformismo tranquillo. Gli ultimi sette anni (ci metto anche quelli del sostegno all'Agenda Monti e dei governi governi Letta e Renzi, di coalizione con i moderati) hanno fatto del Pd la forza più centrale e più affidabile nella geografia politica. Con i quattro anni di Renzi, l'evoluzione del Pd a formazione matura, indispensabile per la stabilità e la governabilità si è, pienamente, compiuta. Oggi su tutti i temi decisivi della governabilità, dall'economia all'emigrazione, il Pd e il governo Gentiloni, fotocopia di quello Renzi, esprimono il polo delle soluzioni costruttive, della competenza e della rassicurazione di un tragitto tranquillo di consolidamento della crescita. Eppure il Pd, troppo spesso, fibrilla. Masochistiche pulsioni interne lo portano a derivare dalla centralità, a insidiarne il profilo di forza aggregante e coalizzante verso il centro moderato, a dimidiare la leadership, quella di Renzi, l'unica tra le forze politiche che possono aspirare al governo, che poggia su un consenso e forza interna imparagonabile con la concorrenza (vedete Berlusconi o Di Maio) e garanzia di solidità. E, invece, il Pd sembra imbarazzato a rivendicarlo. Concede, vanamente, troppo spazio a filosofemi suicidi sulla leadership del centrosinistra. Esso, che è l'unico partito in questo delirante sistema elettorale proporzionale in grado di poter saldare, con Forza Italia, una maggioranza di stabilità e profilo europeo, è costretto a tacerne, come fosse "un vizio privato" tra (presunte) pubbliche virtù: lo scenario anomalo, antico e minaccioso di coalizioni, di varia gradazione populista, di destra o di sinistra.

 

Ancora: il Pd che ha un leader accostabile a Merkel, Macron, Rajoy deve sottostare alle spiritiche tergiversazioni su improbabili leadership del "campo di centrosinistra". E rinculare verso le astrattezze di una sinistra introvabile, una zavorra, pateticamente dedicata a porre confini, limiti e barriere all'espansività del Pd verso la funzione di forza centrale, tranquilla e moderata, asse affidabile della stabilità e governabilità in Italia.

 

Ecco le tre anomalie che rischiano di fare di noi un unicum in Europa: quelli col populismo al governo.