Massimo D'Alema (foto LaPresse)

Rompiamo gli indugi: appello per D'Alema candidato premier

Claudio Cerasa

Se ci fosse una classe dirigente onesta e degna di questo nome dovrebbe smetterla di girare intorno al problema della leadership della sinistra a sinistra del Pd e dire la verità sottoscrivendo il nostro appello. Perché sogniamo il leader Massimo alla guida della sinistra Peter Pan

Lui in campo davvero. Sì: sarebbe il Massimo. E sarebbe il modo migliore per capire se quella di cui stiamo parlando, oggi, è una storia da fantastico guru o una storia da formidabile para guru. Le parole politicamente drammatiche con cui la scorsa settimana Giuliano Pisapia ha spiegato che no, non ha alcuna intenzione di candidarsi, non ha alcuna voglia di andare in Parlamento, ma siete pazzi?, non ha alcuna tentazione di essere il candidato premier di quel campo progressista nato, ops, per lanciare Giuliano Pisapia candidato premier, hanno avuto un impatto importante sull’identità del più curioso tra i soggetti politici presenti in questo momento nel nostro paese, ovvero la sinistra a sinistra del Pd. Il nome e il volto di Giuliano Pisapia, lo sappiamo bene, sono stati per molti giorni la foglia di fico con cui la sinistra a sinistra del Pd ha provato a camuffare la sua fragilità politica e l’ascesa per lo meno mediatica dell’ex sindaco di Milano ha dato la possibilità a molti di superare alcuni imbarazzi. Grazie a Pisapia, per esempio, Repubblica ha trovato un modo elegante per dire che il futuro della sinistra non può più coincidere con il nome di Renzi. Grazie a Pisapia, per esempio, alcuni fuoriusciti del Pd hanno potuto trovare un modo elegante per dire che il futuro della sinistra non può coincidere con un nome sul quale la sinistra ha scommesso per molti mesi per cercare di imporre un’alternativa a Matteo Renzi (ovvero Roberto Speranza, a cui va la nostra incondizionata e piena solidarietà).

 

 

Grazie a Pisapia, per esempio, la minoranza del Pd ha trovato un modo elegante per dire che Renzi è un pirla senza dire che Renzi è un pirla ma semplicemente dicendo che è da pirla non allearsi con un bravo e garbato signore come Giuliano Pisapia. Ma, e qui arriviamo al senso del nostro articolo di oggi e anche al senso dell’appello che stiamo per lanciare, senza Pisapia la sinistra a sinistra del Pd, compresa Repubblica, non avrebbe potuto nascondere quella che è la verità autentica e genuina dell’operazione così detta Nuovo Ulivo e soprattutto della sua unica e inevitabile leadership che corrisponde all’uomo che meglio di altri, disciamo, oggi incarna l’alternativa al renzismo: Massimo D’Alema. Probabilmente Giuliano Pisapia ci ripenserà, chissà. Probabilmente la pressione di Repubblica salirà, chissà. Probabilmente Bersani troverà la giusta metafora sulle mucche per convincere Pisapia a fare un passo indietro sul suo passo indietro, chissà. Ma se ci fosse una classe dirigente onesta e degna di questo nome dovrebbe smetterla di girare intorno al problema della leadership della sinistra a sinistra del Pd e dire la verità e sottoscrivere il nostro piccolo appello per avere quello che l’Italia davvero merita: Massimo D’Alema candidato premier.

 

Non è la prima volta che il Foglio prova a tirare la volata al leader Massimo, lo sappiamo, e non è la prima volta che il Foglio prova a spiegare perché la sinistra italiana ha bisogno di avere un D’Alema candidato premier. Ma questa volta è diverso. Serve un’operazione verità. Serve un’operazione trasparenza. Serve che D’Alema la smetta di fare il para guru e che cominci a fare il guru dimostrando che le sue idee pesano non solo sui giornali ma anche in ambito elettorale. Sarebbe stupido ricordare oggi che l’ultima volta che D’Alema ha provato a misurare il suo consenso è stato qualche anno fa in Puglia quando si è candidato all’assemblea nazionale del Pd perdendo le primarie contro Ivan Scalfarotto. E sarebbe anche poco elegante ricordare che l’ultima volta che D’Alema ha provato a misurare il suo consenso tra gli amici della sinistra è stato qualche settimana fa, quando i compagni delle fondazioni europee lo hanno gentilmente accompagnato fuori dalla prestigiosa guida delle fondazioni che fanno riferimento alle sinistre europee.

 

Dopo anni passati
a distruggere
le leadership
della sinistra, è arrivato il momento di capire
se chi sostiene
la necessità di creare una nuova sinistra
ha il coraggio di arrivare fino in fondo e di essere coerente con se stesso. Quando un leader genera speranza e aspettativa, sostiene D'Alema, ha il dovere
di confrontarsi
con il voto popolare.
Noi siamo con lui.
Per questo vi invitiamo tutti a scrivere qui: [email protected]

Oggi il mondo è cambiato. Oggi c’è una maggioranza silenziosa pronta a chiedere a Massimo D’Alema di verificare in prima persona se il suo amichevole progetto di distruzione del Pd ha davvero un senso oppure no. In una bella intervista rilasciata la scorsa settimana al Fatto Quotidiano, giornale sobrio con il quale l’ex presidente del Consiglio ha scoperto una bella e sincera sintonia, D’Alema ha consegnato ai cronisti che lo hanno intervistato (erano addirittura due, quasi a voler segnalare che il pensiero del leader Massimo è così raffinato da aver bisogno di almeno un paio di persone per decodificarne il senso politico e i mai livorosi messaggi) una frase importante, in cui l’ex presidente del Consiglio parlando di Pisapia non si è accorto che in realtà parlava di sé: “Quando un leader genera speranza e aspettativa ha il dovere di confrontarsi con il voto popolare”. Il fatto che Massimo D’Alema abbia detto in passato che non si sarebbe mai più ricandidato alla presidenza del Consiglio è in fondo una questione perfettamente superabile considerando le molte cose dette e promesse negli ultimi mesi dal Max che poi non si sono realizzate. Non parliamo solo della meravigliosa riforma dei regolamenti parlamentari che D’Alema aveva promesso di regalare al paese in caso di vittoria del No al referendum costituzionale (“La mia proposta di riforma ha ottenuto l’apprezzamento di molti costituzionalisti e anche del coordinamento dei senatori del centrodestra per il No: come si vede, è una proposta di riforma che allarga il consenso anziché restringerlo, ci vogliono sei mesi per approvarla”). Parliamo anche di altro, ovvero di due promesse appuntate sul taccuino di Dario Di Vico il 12 novembre del 2016, durante un’intervista fatta a D’Alema sul Corriere della Sera. Domanda numero uno: “Che effetti avrebbe sul Pd la vittoria del Sì? Una scissione?”. Risposta di D’Alema: “Nascerebbe il PdR, il partito di Renzi. Tra i 2 e i 3 milioni di nostri elettori si sono silenziosamente scissi dal Pd, e il sentimento di estraneità crescerebbe. Di più non le so dire. Non ho né l’età né la volontà di fondare altri partiti”. Domanda numero due: “Ma (dopo il referendum) resterà iscritto al Pd?”. “Sono iscritto al mio circolo anche per solidarietà e affetto verso il gruppetto ormai esiguo delle militanti che lo fanno sopravvivere. Dopo il referendum ho intenzione di tornare ai miei studi brussellesi, quindi non mi occuperei di politica italiana”.

 

Gli studi brussellesi purtroppo sappiamo come sono andati – e qui restiamo convinti del fatto che l’uomo che da vent’anni, con classe, eleganza e intelligenza, tenta di guidare verso l’irrilevanza la sinistra italiana in fondo poteva essere sfruttato meglio e sarebbe potuto diventare un grande simbolo delle sinistre europee, indicando regolarmente la giusta via da non seguire – ma oggi noi non demordiamo e invitiamo tutti gli uomini di buona volontà a spingere Massimo D’Alema a candidarsi in autunno alle primarie che incoroneranno il prossimo leader del campo progressista. Anni fa D’Alema diceva di essere un uomo di sinistra ragionevole che cerca di impegnarsi per il bene del paese. Dopo anni passati a distruggere le leadership della sinistra, è arrivato il momento di capire se chi sostiene la necessità di creare una nuova sinistra ha il coraggio di arrivare fino in fondo e di essere coerente con se stesso e anche con il paese, verificando in presa diretta se le sue idee di politica hanno una consistenza nel mondo reale o sono solo frutto di dottissime allucinazioni. Quando un leader genera speranza e aspettativa, sostiene D’Alema, ha il dovere di confrontarsi con il voto popolare. Noi siamo con lui. Per questo vogliamo un D’Alema candidato premier. Per questo vi invitiamo tutti a scrivere qui: [email protected].

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.