Romano Prodi (foto LaPresse)

Sorry, ma non esiste il mito dell'Ulivo

Claudio Cerasa

La Repubblica dei Pisapia vuole replicare con Renzi l’operazione tentata con il Cav. ma dimentica di spiegare che la storia dell’Ulivo-Unione si sintetizza così: Prc, Rnp, PdCi, Idv, Fdv, Sdi, Ri, Udeur, Si, Dcu, Lal, Sd, Ld, Mre, Pdm, Idm, Cu, Rd, Ud

Il mito, secondo il vocabolario della Treccani, è l’idealizzazione di un evento o di un personaggio storico che nella coscienza dei posteri o anche dei contemporanei assume carattere e proporzione quasi leggendari, esercitando un forte potere di attrazione sulla fantasia e sul sentimento di un popolo o di un’età. Il mito, di solito, rimanda dunque a un’esperienza quasi trascendentale i cui protagonisti, generalmente, sono degli esseri soprannaturali dotati di poteri quasi straordinari. Nella politica italiana, soprattutto in quella recente, capita spesso che qualcuno scelga di utilizzare l’espressione “mito” per descrivere un fantastico passato remoto a cui allegramente ispirarsi nel futuro.

 

Nelle ultime settimane, in particolare, alcuni importanti salotti del centrosinistra, capitanati dal gruppo Repubblica, hanno scelto di farsi promotori di un’operazione molto spericolata, finalizzata a mitizzare, per l’appunto, un simbolo recente della storia politica italiana, che coincide con il leggendario fusto dell’Ulivo di Romano Prodi. L’operazione ha un chiaro e ormai esplicito fine politico – che è trasformare il segretario del Partito democratico in un insetto offensivo, commissariando ogni sua pretesa di leadership attraverso una sorta di operazione spider man, caratterizzata da lanci diffusi di infinite e paralizzanti ragnatele-alleanze sulla scacchiera della politica – e la testa d’ariete utilizzata per promuovere la campagna, il mito, ha il volto simpatico e rassicurante di Giuliano Pisapia. Il soggetto della campagna è stato scelto con intelligenza e con cura e oggettivamente è complicato trovare un difetto in Giuliano Pisapia. Avvocato di talento. Garantista sincero. Sindaco discreto. Persona perbene. Non sfascista. Non populista. Non manettaro. Non coinvolto nella triste accozzaglia del No al referendum costituzionale.

 

Il soggetto della campagna è dunque genuino ma quello di cui difetta la campagna è in realtà altro e non corrisponde al soggetto ma all’oggetto, che più che a un sogno somiglia a una truffa: il mito dell’Ulivo, appunto. Un mito che semplicemente non esiste e che misteriosamente viene però spacciato da un pezzo della classe dirigente di sinistra per quello che non è e che non è mai stato: una fantastica e meravigliosa storia di successi trascendentali. Spiace doverlo fare notare a una brava persona come Giuliano Pisapia ma il mito dell’Ulivo è un mito farlocco che è più simile a una grande truffa che a una grande metafora. E’ una truffa per la sua storia di governo, ed è una truffa anche per la sua storia di modello. Per molti anni, l’Ulivo è stato un’elegante foglia di fico utilizzata per nascondere molte delle contraddizioni mai risolte della sinistra italiana. La contraddizione più evidente e mai risolta dalla generazione Ulivo e dalla generazione Unione è stata quella di aver allevato un pezzo importante della classe dirigente italiana nell’illusione che per sconfiggere l’avversario fosse sufficiente avere più una posizione antitetica (il tutto tranne Berlusconi) che non un progetto di governo alternativo.


Giuliano Pisapia (foto LaPresse)


L’Ulivo prima (1996) e l’Unione dopo (2006) sono stati due cartelli elettorali figli del maggioritario, anche se tenuti insieme con la saliva, con i quali per due volte Romano Prodi ha vinto le elezioni contro Silvio Berlusconi. Ma in entrambi i casi le vittorie di quelle mostruose creature politiche portarono al governo una classe dirigente non incompetente ma incapace di governare (il primo governo Prodi durò 874 giorni, il secondo 617). E in entrambi i casi le vittorie del centrosinistra avvennero più che per meriti propri per demeriti degli avversari (nel 1996 il centrodestra prese il 51,3 per cento dei voti, contro il 44,9 per cento del centrosinistra, e Prodi riuscì a vincere le elezioni solo perché Lega e Forza Italia scelsero di correre separate, nonostante il sistema maggioritario suggerisse il contrario; nel 2006 l’Unione di Prodi vinse alla Camera per 25 mila voti, perdendo però al Senato, dove il nuovo Ulivo, mitico davvero, riuscì a prendere in Italia meno seggi rispetto a quelli conquistati da un Berlusconi indebolito dopo cinque anni passati al governo).

La ragione per cui oggi viene mitizzato l’Ulivo – e la ragione per cui la Repubblica dei Pisapia dimentica di raccontare che l’Ulivo mitizzato è lo stesso che venne fatto cadere da alcuni volti (citofonare D’Alema) che oggi tentano di far rivivere quel progetto, ed è lo stesso finito negli annali della politica più per il numero di pagine del suo programma elettorale (281), per il numero di sigle che si confrontavano prima di ogni Consiglio dei ministri (Ds-Dl/Pd, Prc, Rnp, PdCi, Idv, Fdv, Sdi, Ri, Udeur, Si, Dcu, Lal, Sd, Ld, Mre, con l’appoggio esterno di Pdm, Idm, Cu, Rd, Ud, Svp, Ald, Aisa, Mpc, Sc) e per il numero di persone che nel 2006 fecero parte dell’esecutivo (26 ministri, 10 viceministri e 66 sottosegretari, per un totale di 103 membri, record della storia della Repubblica), che per le sue riforme al governo – è che oggi l’anti renzismo è certamente un sentimento non inferiore all’anti berlusconismo. Ed è evidente che nella logica del contenimento di un uomo al comando attraverso l’imposizione di molti uomini deboli al comando lo schema dell’Ulivo e dell’Unione è uno schema che alla lunga può funzionare. Ma è uno schema che a voler essere sinceri fino in fondo andrebbe descritto per quello che è: la definitiva morte del Partito democratico.

Nel 2007, quando nacque, il Pd prese forma per fare quello che il centrosinistra non era mai riuscito fare negli anni precedenti: costruire un partito riformista, a vocazione maggioritaria, capace di emanciparsi dall’eterodirezione della società civile facendo dimenticare l’incubo dell’Unione, e la sua allegra combriccola di Ds-Dl/Pd, Prc, Rnp, PdCi, Idv, Fdv, Sdi, Ri, Udeur, Si, Dcu, Lal, Sd, Ld, Mre, e presentandosi così sulla scena politica con l’idea di affermare un’idea propria e non solo di negarne un’altra. Fu l’esperienza disastrosa dell’Unione, nel 2008, a resuscitare un centrodestra agonizzante e a rendere impossibile l’affermazione del Pd a guida veltroniana.

 

Fu il modello dell’Unione, in versione foto di Vasto (Bersani-Vendola-Di Pietro), a far resuscitare ancora, nel 2013, un centrodestra nuovamente agonizzante, che se solo fosse riuscito ad allearsi con la Südtiroler Volkspartei avrebbe ottenuto il premio di maggioranza alla Camera. Sarà il modello Ulivo-Unione, se spingerà il Pd a rimettere insieme tutti i cocci della sinistra piazzando nuovamente il trattino tra la parola centro e la parola sinistra, a uccidere definitivamente il Partito democratico. Giuliano Pisapia è certamente una persona perbene (e non c’è ragione per cui Renzi non debba farlo sentire a casa nel suo progetto di governo) e Romano Prodi è certamente un professore eccellente (e non c’è ragione per cui Renzi non debba farlo sentire a casa nel suo progetto di governo). Ma entrambi in questo momento stanno giocando una partita spericolata in cui in ballo non c’è solo la leadership di un uomo al comando: c’è la sopravvivenza stessa di un progetto politico nato per archiviare la truffa politica del modello Unione. Non avere solo nemici è un progetto nobile per un leader come Renzi che deve passare dalla fase della rottamazione a quella della mediazione. Dare l’impressione proprio ora di temere la presenza di nemici a sinistra è però un progetto rischioso che darebbe soddisfazione alla Repubblica dei Pisapia e che potrebbe far rivivere rapidamente agli elettori di centrosinistra gli anni magici in cui bastava uno starnuto di Sabrina Ferilli o un raffreddore di Luigi Pallaro o un’occhiataccia di Franco Turigliatto per mettere in crisi un governo. Il mito dell’Ulivo non esiste. Esiste semmai qualcuno che sta provando a crearsi un mito, ovvero (Treccani) un’alterazione più o meno involontaria della realtà per opera dell’immaginazione, anche come fatto patologico, per raggiungere lo stesso scopo tentato per anni con gli strumenti dell’Unione: combattere non per imporre un progetto ma semplicemente per distruggere un avversario. Ieri si chiamava Berlusconi, oggi si chiama Renzi.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.