Le ragioni di Jeroen Dijsselbloem

Veronica De Romanis

I tre errori che fa Renzi quando chiede le dimissioni del presidente dell’Eurogruppo dopo le parole sul sud

L’intervista che il presidente dell’Eurogruppo, l’olandese Jeroen Dijsselbloem, ha rilasciato in questi giorni alla Frankfurter Allgemeine Zeitung, in cui sosterrebbe che “i paesi del sud spendono soldi in donne e alcool” ha fatto molto scalpore. A manifestare il proprio sdegno è stata tutta la classe politica italiana, a cominciare dall’ex premier Renzi che ne ha, persino, chiesto le dimissioni perché – a suo dire – Dijsselbloem si sarebbe “lasciato andare a battute stupide contro i paesi del sud Europa a cominciare dall’Italia e dalla Spagna” E, pertanto fare un passo indietro sarebbe “meglio per lui, ma anche per la credibilità delle istituzioni europee”. In realtà, chi, come Renzi, avanza questa richiesta, compie tre ordini di errori: di lettura dell’intervista, di conoscenza delle regole, di strategia politica.

 

Il primo errore: la lettura dell’intervista. Dijsselbloem, quando cita “le donne e l’alcool” non si riferisce ai paesi del sud, né tanto meno all’Italia: parla in prima persona, con un esempio, poco felice, ma non è certamente il primo politico a farlo. Anche l’aver definito “gufo” chi non era allineato con le idee del precedente governo potrebbe aver urtato la sensibilità di qualcuno.

 

Il secondo errore: la conoscenza delle regole europee. Nell’intervista, Dijsselbloem rileva l’importanza del rispetto delle regole fiscali da tutti concordate e condivise. La crisi, infatti, è anche il risultato di paesi che per lungo tempo non hanno rispettato le suddette regole, mantenendo finanze pubbliche “allegre”. In Grecia, solo per fare un esempio, solamente nei primi anni Duemila, il debito pubblico è salito di quasi dieci punti, attestandosi al 110 per cento del pil. Quando, però, i mercati internazionali hanno smesso di fidarsi, e hanno chiuso l’accesso, a queste economie non è rimasto che rivolgersi agli altri partner europei. Il bilancio dei salvataggi è lungo: tre rivolti alla Grecia (330 miliardi di euro complessivi), uno all’Irlanda (85 miliardi di euro), uno al Portogallo (78 miliardi di euro), uno alle banche spagnole (100 miliardi di euro, dei quali solo 39 sono stati utilizzati) e, uno a Cipro (10 miliardi di euro), per un totale di circa 600 miliardi di euro. E nessuno si è tirato indietro. Ma nel rispondere al giornalista, Dijsselbloem commette un errore – l’unico – la cui gravità, però, è stata pressoché ignorata nel dibattito pubblico, quando dichiara che a mostrarsi solidali sarebbero stati “i paesi del nord”. Niente di più sbagliato. A fornire il proprio aiuto, sono stati quelli del nord, ma anche quelli dell’est, i più poveri, persino più poveri dei cittadini che hanno contribuito a salvare, e infine quelli del sud, come l’Italia. Insomma, ai salvataggi hanno partecipato, con le loro tasse, tutti i cittadini europei, italiani inclusi, che hanno speso circa 60 miliardi di euro: non aver fornito la lista completa dovrebbe essere il vero motivo d’indignazione.

 

Solidarietà e responsabilità

Sul resto, Dijsselbloem ha ragione quando rileva che chi chiede “solidarietà” deve essere pronto anche a “responsabilità”, ossia a rispettare le regole e a rimettere i conti in ordine, perché altrimenti, il rischio di dover soccorrere in futuro altri stati – e quindi di dover chiedere ai cittadini nuove tasse – è concreto.

 

Il terzo errore: la strategia politica. Al posto di Dijsselbloem, dovrebbe arrivare il ministro delle Finanze spagnolo, Luis de Guindos, e non necessariamente dal punto di vista di chi – in particolare degli esponenti del Partito democratico – invoca le dimissioni dell’attuale presidente sarebbe un vantaggio. Intanto, de Guindos non appartiene alla famiglia socialista europea. E, poi, con ogni probabilità, sarebbe “rigoroso” almeno quanto il suo predecessore. Il suo paese, che ha effettuato un pesante consolidamento fiscale, cresce del 3,2 per cento, l’Italia con i suo 19 miliardi di euro flessibilità, è ferma all’1 per cento. Insomma, sarebbe davvero difficile poter convincere uno così che il rispetto delle regole e le misure d’austerità sono incompatibili con la crescita.

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