Beppe Grillo (foto LaPresse)

Il pasticcio di Grillo sul suo blog svela una delle grandi truffe grilline

Claudio Cerasa

Il leader dei 5 stelle spaccia per libertà d’espressione la libertà di sputtanamento

Il ridicolo contratto fatto sottoscrivere da Beppe Grillo durante l’ultima campagna elettorale a molti candidati sindaco ha avuto il merito di mostrare il volto eversivo e anti democratico del Movimento 5 stelle, grazie alla famosa penale da 150 mila euro, prevista per chiunque osi violare i valori del movimento, che ha fatto a pezzi un principio sacrosanto previsto dalla Costituzione in base al quale per ogni eletto non deve esistere alcun vincolo di mandato perché un eletto rappresenta il popolo e non solo un partito o tanto meno un server. L’esperienza a Roma di Virginia Raggi ha avuto il merito di mostrare il vero volto del grillismo di governo, diciamo così, e dopo nove mesi alla guida della Capitale (il sindaco non è riuscito ancora a nominare neppure un capo di gabinetto) risulta evidente che il nulla cosmico che prova a guidare una realtà che non sia un amministrazione di condominio (esperienza che avrebbe comunque arricchito il curriculum di Virginia nostra) produce non un virtuoso modello di onestà-tà-tà ma solo un nulla moltiplicato al quadrato, un vuoto disumano all’interno del quale molti marrazzoni e molto amici al bar possono muoversi con facilità d’azione. La controreplica offerta da Beppe Grillo, per mano del suo avvocato, alla denuncia per diffamazione presentata dal senatore Francesco Bonifazi a nome del Pd contro il blog di Beppe Grillo ci aiuta invece a entrare in un altro mondo che ci permette di focalizzare un elemento chiave del Dna grillino: la straordinaria truffa culturale nascosta dietro la balla sulla democrazia diretta.

 

La storia la conoscete: il tesoriere del Pd ha denunciato per diffamazione Grillo per un post comparso sul blog di Grillo e l’avvocato di Grillo ha scelto di difendere Grillo (il cui blog, come previsto a pagina tre del contratto firmato dai candidati sindaco del Movimento 5 stelle, è lo “strumento ufficiale per la divulgazione delle informazioni e la partecipazione dei cittadini”) affermando che Grillo non c’entra nulla con il blog di Grillo. Tesi della difesa: “L’attore (Bonifazi, non Grillo, ndr) non ha fornito la benché minima prova sulla riconducibilità o responsabilità del blog, degli account twitter o dei tweet, e dei pretesi contenuti o affermazioni diffamatorie, a Giuseppe Grillo, né alcuna prova sul fatto che il convenuto sia responsabile, gestore, moderatore, direttore, provider o titolare del dominio, dei blog, né degli account twitter, né dei tweet e Facebook, né che lo stesso abbia un potere di direzione o di controllo sul blog, sugli account twitter o sui tweet o facebook, e tanto meno di ciò e su ciò che ivi viene postato, né alcuna prova sul fatto che il sig. Grillo gestisca, diriga, controlli o filtri gli scritti o i messaggi che vengono pubblicati nel blog o negli account twitter né i tweet”. Sembra uno spettacolo di cabaret.

 

Lo strumento ufficiale per la divulgazione delle informazioni e la partecipazione dei cittadini del Movimento 5 stelle non c’entra nulla con il capo politico del Movimento 5 stelle (e per questo Grillo non può essere chiamato in causa per gli insulti eventuali presenti sul blog di Beppe Grillo). E per di più, scrive l’avvocato di Grillo in un passaggio poco valorizzato mercoledì dai giornali, è “gestito dalla Casaleggio Associati srl”. L’avvocato di Grillo, dunque, non ci sta dicendo solo che la democrazia diretta declinata dal 5 stelle attraverso il blog di Grillo è in realtà una democrazia diretta da una società di capitali (Casaleggio Associati) guidata da un privato cittadino (Davide Casaleggio) non eletto da nessuno. Ci sta dicendo qualcosa di più, che non riguarda solo l’intreccio giuridico del blog di Grillo (titolare del dominio del blog di Grillo è un amico di Grillo, Emanuele Bottaro, e non Grillo, anche se nello statuto depositato il 12 marzo dal Movimento 5 stelle si ammette che “Spettano al signor Giuseppe Grillo titolarità, gestione e tutela del contrassegno; titolarità e gestione della pagina del blog”), ma un tratto significativo del metodo grillino: la confusione tra la libertà d’espressione e la libertà di sputtanamento.

 

Alla base del metodo grillino – sia nella sua versione politica sia nella sua traduzione giornalistica – c’è un principio chiave che prevede l’obbligo di infangare la reputazione dei propri avversari attraverso l’uso di un linguaggio allusivo che si muove sul filo della diffamazione e che di solito gioca sempre con le stesse parole. Il post per il quale Bonifazi ha chiesto un milione di euro di risarcimento danni – delizioso l’avvocato di Grillo quando accusa “l’attore ricorrente” di voler fare nei confronti del suo difeso un “inammissibile processo alle intenzioni” – presenta effettivamente alcuni passaggi tipici del metodo della delegittimazione grillina. Funziona così: prendi un’indagine; associa all’indagine un nemico che “spunta” nelle carte magari senza essere neppure indagato; rappresenta un contesto di corruzione morale (e magari non solo) in cui il suddetto politico fa l’interesse esclusivo non dei cittadini ma dei propri parenti (vicepresidente del Movimento 5 stelle è il nipote di Grillo, ndr), dei propri amici (il commercialista di Grillo è il tesoriere del Movimento 5 stelle, ndr), delle lobby (le proposte di delibera per gli eletti al comune di Roma devono essere elaborate su un software chiamato Lex prodotto a fini commerciali dalla Casaleggio Associati, ndr); afferma che quel politico, che “spunta nelle carte”, è “coinvolto” nelle indagini; ricorda che un cugino o un amico del politico oggetto di sputtanamento è (o è stato) indagato per un qualche reato (non importa poi se l’indagine si sia chiusa con un’archiviazione o un’assoluzione o che sia ancora in corso, nel linguaggio grillino se sei un indagato e non sei uno del Movimento 5 stelle meriti la forca a prescindere dall’iter giudiziario); afferma che un qualcosa che tu consideri immorale è senza ombra di dubbio illegale (nel post oggetto di dibattito comparso sul blog di Grillo si sostiene che sia “illegale” suggerire l’astensione in un referendum); infine elabora un meccanismo all’interno del quale sono “tutti collusi” o “tutti complici” o “tutti con le mani sporche” di qualcosa (di solito le mano sono sporche “di denaro”, che se maneggiato da un lobbista diventa ovviamente letame ma se maneggiato da Grillo diventa oro, perbacco). Fai tutto questo. Poi metti il fango nel frullatore e sputtanare il tuo prossimo sarà un gioco da ragazzi. Il meccanismo funziona così e qualche volta chi diffama è costretto a pagare (Grillo ha perso cinque cause per diffamazione).

 

Ma il punto non è se Grillo, per usare un’espressione alla Grillo, “la farà franca” (nel linguaggio grillino, se sei accusato di qualcosa e vieni scagionato, o sei un militante del Movimento 5 stelle e hai diritto alla riabilitazione oppure sarai per sempre uno che “l’ha fatta franca”). Il punto è che tra le righe della difesa messa in campo dal capo del Movimento 5 sberle emerge un’idea precisa della cultura grillina: la libertà di sputtanamento mascherata per libertà di espressione (non a caso Grillo è un grande difensore della post verità) e la libertà di delegittimare il prossimo senza doverne pagare le conseguenze trasformata in un diritto assoluto da difendere a tutti i costi. In alcuni casi affermando l’impossibile (Beppe Grillo non c’entra nulla con i post che compaiono sul blog di Beppe Grillo) in altri casi dando all’insulto o alla diffamazione il valore di “satira”.

 

Funziona così per Grillo e funziona così anche per il circo mediatico grillino. Qualche giorno fa, per dirne una, Marco Travaglio, grande megafono del grillismo, è stato condannato per aver diffamato Cesare Previti in un articolo pubblicato nel 2002 sull’Espresso. Travaglio lo accusò di aver partecipato a una riunione dove invece non aveva messo piede sulla base di una dichiarazione parziale resa da un colonnello dei carabinieri, “generando così nel lettore – si legge nella decisione della Corte di Strasburgo, alla quale Travaglio si è appellato dopo tutti i gradi di giudizio – l’impressione che il ‘signor P.’ fosse presente e coinvolto negli incontri riportati nell’articolo”. Il punto non è che sia stata persa una causa ma l’argomento usato per difendere il proprio errore: il diritto alla libertà d’espressione. Tutto questo, sommato alla difesa di Grillo, dimostra che la truffa del grillismo funziona se il diritto allo sputtanamento può sposarsi con il diritto a non essere responsabili di quello che si scrive. Funziona se dalla post verità si passa alla post responsabilità. E forse di fronte a una truffa bisogna dire qualcosa, no?

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.