Il sonno della ragione, incisione di Francisco Goya

Il sonno della ragione che genera trumpismi e altri mostri

Giuliano Ferrara

C'è qualcosa di patologico nel conflitto tra due rivali mimetici, l’establishment e l’antiestablishment, con “alto rischio di offuscamento mentale”. Un gran saggio di Pérez-Díaz però spiega come svegliarsi. Ma caro Pd, attento alla retorica del futuro

E poi dice che uno si butta a sinistra. In questo tempo di imposture e impostori bisogna farlo, e mi spiace per i miei amici dell’associazione ex combattenti berlusconiani, benemerita. Mario Draghi è ottimista, abbastanza, ha i suoi numeri per esserlo. E’ un tipo lucido, mi pare, ma non è specialmente di sinistra, a parte il magistero riconosciuto di Federico Caffè, economista keynesiano. Il suo ottimismo è realista, il suo realismo è ottimista. Il gruppo bolognese del Mulino è già più tipicamente di sinistra, sebbene tra i grandi della combriccola ci siano stati oltre al resto tre mostri di intelligenza come Nicola Matteucci, Achille Ardigò e Paolo Prodi*. Ora la rivista del gruppo pubblica un formidabile attacco di Víctor Pérez-Díaz alla “cainite”. La cainite è una sindrome grave, un mostro di quelli che solo il sonno della ragione sa produrre. Come nel quadro di Goya del 1797, “Il sonno della ragione genera mostri”. Eccone la descrizione di Pérez-Díaz: “Un uomo sonnecchiante, la testa affondata, le gambe incrociate e immobili, circondato da figure sinistre che sorgono dalla sua mente e alle quali la sua ragione perduta dà ali”. Non sembra una perfetta descrizione dell’elettore oppiaceo di Donald Trump? O di un grillozzo di passaggio o di un identitario olandese o francese o di un baluba leghista salviniano? Mi pare che ci siamo.

 

Ma chi è Víctor Pérez-Díaz. I lettori di questo strano giornale lo conoscono dai tempi del berlusconismo rampante e del neoconservatorismo elegante e rozzo, per noi due idola tribus, il 2003. Michele Salvati, che ricordiamo anche al Partito democratico di cui fu ispiratore con un manifesto pubblicato qui (ma che strano giornale, ripeto), curò la pubblicazione di un suo libro su “La lezione spagnola”. E accompagnò il testo con una sua bella prefazione. Cinquecento pagine complessive che riassumo in una frase: gli spagnoli sono usciti meglio degli italiani dalla loro storia, nonostante la loro guerra civile abbia fatto più di un milione di morti o forse proprio per quello, e hanno fatto del franchismo e dell’antifranchismo un museo in cui si passeggia silenziosi per capire come sono andate le cose, non un rito che eternamente si riproduce, tredici anni fa nella forma della cieca e insensata battaglia tra berlusconismo e antiberlusconismo.

 

Una frase semplifica a dismisura, ovvio, ma insomma la tesi Pérez-Díaz & Salvati era che il sistema politico spagnolo produceva un’alternanza senza troppi drammi, senza troppe imposture, perché si era liberato dalla cainite. Era una tesi di sinistra, ma felice, il Foglio la sposò e fece campagna su questa idea, sempre nell’intenzione di capire. A tredici anni data il sonno della ragione genera mostri anche in Spagna, sebbene i nostri amici latinos del sud dell’Europa se la cavino meglio di noi in molti campi ed abbiano evitato coalizioni nulliste del 60 per cento, malgrado l’attivismo dei grillos locali. Ma un accenno di cainite è tornato, basti pensare ai secessionismi e altri identitarismi, e Pérez-Díaz, che è un intellettuale di esperienza e di talento, un uomo impegnato nella vita pubblica con le sue idee, torna a parlare, ripartendo da Francisco Goya, che è un bel ripartire.

 

Forse è un illuso, ma Pérez-Díaz pensa che ci sia qualcosa di patologico nel conflitto tra due rivali mimetici, l’establishment e l’antiestablishment, con “alto rischio di offuscamento mentale”. Gli uni spargono il culto del futuro e di un orizzonte aperto (Stronger Together), magari incuranti delle chiusure materiali e spirituali opposte dalla globalizzazione dei mercati alla vita reale e soprattutto alla percezione di tanti; gli altri “offrono un avvenire surrealista consistente nel ritorno a un passato caratterizzato da qualche variante di bonapartismo, totalitarismo, o di altri incubi degli ultimi secoli (Make America Great Again)”. Non è perfetto? Mi pare di sì. Anzi, caro Pd, attento alla retorica del futuro e al suo culto. Il riformismo contro il nazionalismo e il totalitarismo surrealisti non si può nutrire di sola retorica, di “manutenzione del glamour” (già detto, già scritto).

Il rimedio di Pérez-Díaz è una società civile che sia capace di una conversazione amichevole, ragionevole, e di amicizia civica. Allo scopo di colmare il divario “fra due culture vissute: quella delle persone comuni, almeno quando applicano il loro buonsenso, e quella delle persone di cultura e ceto elevati, quando sono influenzate da una miscela di intellettualismo e di superbia”.

 

Insomma, il risveglio della ragione o della ragionevolezza per impedire che politici di professione, agenti mediatici, esperti e altri della consorteria ci contagino “con il bellicismo e il cainismo delle élite e contro-élite di turno”. Un sussulto di intelligenza combattiva ma sanata da ogni forma di cainite per liberarci dai mostri o almeno per togliere loro le ali che talvolta gli diamo.

 

Ma voi che c’entrate? Lo state pensando. E tu in particolare: non sei un energumeno? Non posso negarlo. Questo giornale, comunque si sia indirizzato nel tempo della sua lunga giovinezza, è stato una palestra di boxe. E ora tira pugni ancora meglio di un tempo contro i ragionieri delle manette e altri caini ripugnanti. E io sono in effetti un energumeno, dei boxeur quello che ha sempre voluto essere il più odioso. Ma anche noi stronzi abbiamo un cuore di carne. Lo sapete. Sennò perché pubblicammo Pèrez-Diaz nel pieno della rissa nazionale e mondiale (2003)? E perché, rispettosi del fair play o almeno esenti dal culto del futuro e dalla miscela di intellettualismo e superbia dei babbei del nazionalismo e dell’antipolitica, in questo tempo di imposture e impostori, vi invitiamo a leggere la dannazione del cainismo firmata da Pèrez-Diaz in un bel numero del Mulino?

 

 
* Matteucci fu pensatore liberale di grande apertura mentale e somma scienza. Ardigò fu sociologo di estremo talento e descrisse la fine della famiglia nella modernità secolare, prima della “Amoris laetitia” di Jorge Mario Bergoglio che ha compiuto il cerchio. Paolo Prodi spiegò che l’uomo occidentale ha cominciato a morire quando il sacro della coscienza si è sottomesso alla norma unica a una dimensione, progenitrice di una laicità politicamente corretta.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.