Il sindaco di Milano Beppe Sala (foto LaPresse)

Che cosa fa Sala?

David Allegranti

Il sindaco di Milano spiega a Renzi come si fa Renzi. “Serve un cambio di passo”. I renziani minimizzano le sortite del sindaco: “Pone dei temi, ma non dice che non ci appoggia”

Roma. Se non ci fosse stata Milano a dare qualche soddisfazione, il bilancio delle amministrative 2016 sarebbe stato ancora più amaro per Matteo Renzi, che indica sempre il capoluogo lombardo come un esempio. Il problema è che il sindaco Beppe Sala non pare vedere più l’ex premier come un modello. Ieri l’ex amministratore delegato di Expo ha pubblicato su Repubblica una lettera, scritta insieme a Sergio Chiamparino, per spiegare a Renzi come si fa Renzi. Nell’epistola c’è un passaggio che colpisce, riguarda la classe dirigente renziana – il cosiddetto Giglio magico – tema sensibile e oggetto di dibattito pubblico. “L’esito del referendum ha tracciato una linea dopo la quale nulla è più come prima. Anche per lui. E’ quindi necessario che per riproporsi alla guida del Partito (e, ancor di più, alla guida del paese), Renzi accetti l’idea di un cambio di passo, di un cambiamento nella qualità della sua leadership politica”. Il proporzionale poi, dicono Sala e Chiamparino, obbliga a una “maggiore e diversa capacità inclusiva”. Per questo “è decisivo per Renzi non rinchiudersi in gruppi ristretti ma avere la disponibilità a veleggiare in mare aperto con nuovi equipaggi non necessariamente composti da persone di stretta osservanza del capitano”. L’invito di Sala e Chiamparino, dunque, è a liberarsi di un po’ di gente con l’accento toscano per aggregare altre “forze innovatrici, fra le quali ci annoveriamo anche noi, che possono aiutare il paese a trovare la giusta rotta”. Da mesi Sala, che non è iscritto al Pd e ha sempre rivendicato una certa distanza civica dalla politica, dissemina di dubbi e perplessità il suo rapporto con Renzi.

 

“Riconosciamo i meriti di Renzi e la sua capacità e volontà riformista. Però è chiaro che ci attendiamo un cambiamento e se questo arriverà credo che saranno in tanti disponibili a supportarlo. Però il cambiamento deve essere mostrato”, ha spiegato poi Sala ai cronisti: “L’altro punto che condividiamo io e Chiamparino è che non riteniamo sia così necessario che il segretario del Pd e il premier siano la stessa figura”. Per Sala c’è “da recuperare molto nel rapporto territoriale tra Roma e le sedi locali del Pd. La maggioranza che mi sostiene è un buon esempio di come si può tenere tutti assieme”. A partire dalla giunta, dove ci sono i renziani (il vicesindaco Anna Scavuzzo e Pier Francesco Maran ) e gli orlandiani (gli assessori Pierfrancesco Majorino e Filippo Del Corno).

 

La lettera recapitata a mezzo stampa è solo l’ultima delle amarezze riservate dal sindaco a Renzi, anche se i renziani tendono a minimizzare. “Ha posto dei temi, ma non dice che non lo appoggia”, interpreta un parlamentare vicinissimo a Renzi. “Chiede più collegialità, ma sta dentro. Va bene”, aggiunge.

 

Qualche giorno fa Sala ha detto, a domanda precisa, che non sa chi scegliere al congresso del Pd. “Non ho ancora deciso per chi votare, voglio ascoltare i programmi e sentire quello che ognuno di loro può dare a Milano”. E’ tutta una questione di autonomia, di chi vuol ribadire di avere un “profilo civico”, come dice il deputato Andrea Romano, oppure c’è un problema con il sindaco del capoluogo lombardo? Una certa freddezza fra il sindaco e Renzi si registra da tempo. Sala partecipò – tra i pochi politici a salire sul palco di piazza del Popolo e a prendere parola – alla manifestazione del Pd per il Sì al referendum, senza però poi andare alla Leopolda. “Sono stato già a Roma e adesso c’è da fare molto anche a Milano. E ho un weekend abbastanza denso di impegni”, tagliò corto il sindaco.

 

A gennaio, mentre Renzi era orientato, anche con una certa insistenza, per il voto subito, Sala scrisse una lettera al Corriere per spiegare che dopo la caduta di Renzi sarebbe stato un errore far cadere anche il nuovo esecutivo. “Ora c’è il governo Gentiloni e c’è ancora un anno di legislatura; forte però è la spinta affinché tutto precipiti al più presto verso una nuova competizione elettorale. Ebbene, io non credo che questa sia una scelta né scontata né opportuna”. Anche in quell’occasione Sala consigliò a Renzi di prendersi una pausa per capire la natura della sconfitta: “Ha vinto il No, e in larga misura. Qualcosa si è rotto e riguarda anche, o forse soprattutto, la credibilità stessa della politica, dei suoi partiti e movimenti, delle sue figure più rappresentative. Il centrosinistra ha bisogno di un robusto momento di riflessione”. Una riflessione che, evidentemente, ancora non c’è stata.

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  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.