Marcello Pera (foto LaPresse)

La società dei desideri non può diventare la società dei diritti. Chiacchierata con Pera

Claudio Cerasa

Eutanasia, aborto, maternità surrogata. Le responsabilità del Papa nell’esplosione della società dei desideri

L’eutanasia. Il testamento biologico. L’aborto. L’obiezione di coscienza. La maternità surrogata. Le adozioni gay. Negli ultimi dieci giorni ci sono stati molti importanti fatti di cronaca che hanno improvvisamente rimesso in circolo come in un grande frullatore ideologico alcuni tabù culturali del nostro paese soprattutto in materia di bioetica. Martedì scorso per la prima volta è stata riconosciuta in Italia la possibilità per due uomini di essere considerati padri di bambini nati attraverso una pratica vietata grazie al cielo nel nostro paese: la maternità surrogata. Il giorno primo Fabiano Antoniani, Dj Fabo, tetraplegico e cieco dall’estate 2014 dopo un incidente stradale, ha scelto la via del suicidio assistito in Svizzera, accompagnato dal Radicale Marco Cappato, da ieri sotto indagine con l’accusa di “aiuto al suicidio”, nei giorni in cui il Parlamento italiano stava calendarizzando la data giusta per discutere in Aula la legge sul biotestamento, che arriverà alla Camera il 13 marzo, quando speriamo venga evitata la codificazione per legge della cultura eutanasica. Ancora qualche giorno prima, il 21 febbraio, prima che la Cgil denunciasse il caso di una donna padovana che avrebbe girato molti ospedali prima di poter abortire, la regione Lazio ha scelto di assumere ginecologi non obiettori per praticare interruzioni di gravidanza, promettendo incredibilmente di rescindere i contratti dei nuovi assunti nel caso in cui questi dovessero scegliere un domani di diventare medici obiettori, come lo è oggi circa l’ottanta per cento dei medici. L’impressione ricavata dalle notizie raccolte in questi giorni indica ancora una volta che buona parte dell’opinione pubblica tende a confondere un desiderio legittimo per un diritto garantito dallo stato, cercando in tutti i modi di trasformare questioni che andrebbero confinate nella sfera del privato in dettami prescritti dalla legge.

 

Marcello Pera, filosofo che i lettori di questo giornale conoscono bene, autore tra le altre cose di un libro scritto nel 2004 con l’allora cardinale Joseph Ratzinger (“Senza radici”) sulla questione delle radici cristiane dell’Europa, condivide le preoccupazioni del Foglio su questi temi e nel discuterne con il nostro giornale sceglie di fare un passo in più, legando le notizie di questi giorni a un’assenza pesante percepita nel dibattito pubblico: il ruolo della chiesa di Papa Francesco. “In effetti è come dice lei, direttore. I desideri di ciascuno di noi stanno diventando diritti e ciò che dovrebbe rimanere nella sfera del privato rischia di trasformarsi in legge dello stato. I diritti nascono da richieste di minoranze le quali riescono a ottenere consenso e promuovere un intervento dei parlamenti. Ma poiché questa è spesso una strada lunga, ecco che i singoli o le minoranze prendono la scorciatoia più facile: un tribunale o una corte suprema si trova sempre che dia ragione anche alle richieste più strampalate o più urtanti contro il senso comune o la morale tramandata, in nome di qualche bene che tutti a parole apprezzano. Si prenda il caso della sentenza di Trento: chi vuol mettersi contro ‘l’interesse superiore del bambino’? Nessuno, ovvio. Ma chi dice che l’interesse superiore del bambino sia di avere due o anche tre padri e altrettante madri? Lo dice il giudice, che si attribuisce il potere di inventarsi la legge. E chi gli attribuisce questo potere? Bella domanda! Glielo attribuisce l’opinione pubblica, quella ‘progressista’, ‘moderna’, ‘tollerante’, la quale dice: ma se quei due tre maschi amano tanto un bambino, perché non lasciarli fare? Così il cerchio si chiude: l’indifferenza morale genera relativismo e questo genera stragi della tradizione, della cultura, della natura. Se non ci sono norme assolute, c’è il self-service”. Pera sostiene che la sentenza del Tribunale di Trento possa avere degli effetti negativi sulla nostra legislazione e anche sulla cultura del nostro paese e lo motiva così.

 

“La sentenza – continua Pera – rafforza la convinzione che basta chiedere allo sportello giusto e si otterrà ciò che si vuole (un po’, per cambiare argomento, come ha fatto l’avvocato Besostri sulla legge elettorale). Poi che i diritti sono sacri, quando in realtà sacro è solo l’egoismo. Quindi, che la libertà consiste nel principio: gli altri facciano ciò che credono purché non tocchino me. Alla fine, la conseguenza ultima riguarda la nostra identità: rifiutiamo di averne una collettiva, perché questa prevede beni collettivi e superiori, e ci rifugiamo nella sommatoria di tante individualità e minoranze. Un tempo c’era almeno la chiesa a contrastare questa cultura, ora (in realtà almeno dal Vaticano II) anch’essa vuole essere al passo con i tempi. Purtroppo, non accadrà solo a sue spese, il conto lo pagheremo tutti”.

 

Secondo questo ragionamento lo stesso succederà con l’eutanasia e il testamento biologico. “Sì, temo di sì. Eppure su questa materia dovrebbe essere più facile trovare un accordo, perché ci sono princìpi costituzionali chiari. Basterebbe applicarli con un provvedimento legislativo semplice. Articolo 1: a nessuno può essere imposta una cura (dunque, niente accanimento). Articolo 2: nessuno può porre termine alla vita di un altro (dunque, niente eutanasia attiva). Lascia scoperti tanti casi un provvedimento così? Sì, tanti, ma nessuno di questi casi dovrebbe essere disciplinato per legge. Lì, nella zona misteriosa e dolorosa, vale l’umana pietà del paziente, dei suoi famigliari, degli amici, del medico, magari di un assistente spirituale. Dopotutto, nessuna legge può rincorrere tutti i casi. Purtroppo, non si ragiona né laicamente né cristianamente, ma ideologicamente. Si pensa che l’eutanasia sia un diritto di libertà”. Sulla scelta della regione Lazio di organizzare bandi per medici non obiettori, includendo delle penali per i non obiettori che diventano obiettori, Pera sostiene che “se io ho il diritto ad abortire, ho anche il diritto a un medico che pratichi l’aborto: ma se io sono un medico con il diritto alla libertà di coscienza e di obiezione, ho il diritto a non praticare alcun aborto. Ecco un caso da manuale per illustrare che la cultura dei diritti genera conflitti irrisolvibili”.

 

Chiediamo a Pera: non la colpisce in tutto questo che ci sia una chiesa e un Papa che ha scelto di fare un passo indietro nella difesa della cultura della vita, mettendo i diritti sociali sullo stesso piano dei diritti non negoziabili? “Per quanto riguarda i diritti sociali, l’effetto è quello del socialismo. Se i diritti sociali sono diritti inalienabili che tutti gli stati devono rispettare, allora legittimi sono solo gli stati socialisti, quelli dell’uguaglianza sociale. Per quanto invece riguarda i diritti di libertà individuale, l’effetto è quello del relativismo, di cui l’occidente è già avido spacciatore e consumatore. Se i diritti di libertà sono intangibili, e ogni individuo o gruppo ha i propri, allora non c’è più un bene comune. I diritti sociali hanno un grave problema: non si sa chi deve pagarli. I diritti di libertà ne hanno un altro: creano tensioni fra individui e gruppi. Tutti e due assieme hanno poi il problema che non vanno d’accordo: se io ho il diritto a non essere povero, tu non hai il diritto di diventare ricco. Mi amareggia che la chiesa, anziché aprirsi ai diritti dell’uomo, non ne metta in discussione l’idea stessa, come fece due secoli fa. Qui vedo il rischio di un fraintendimento: che il cristianesimo sia inteso come la religione dei diritti, anziché dei doveri dell’uomo verso Dio e verso gli altri uomini. Se si parte dai doveri, Dio ha un ruolo, perché è colui che li detta; se si parte dai diritti, Dio scompare: l’uomo basta a se stesso. Ma Cristo è crocifisso non perché qualcuno ha violato i suoi diritti a un giusto processo con l’avvocato difensore, ma perché ha adempiuto al suo dovere di rispettare il padre. Che bel tema per un’enciclica!”.

 

Il processo di secolarizzazione della società, specie sui temi bioetici, in realtà non è un tema solo dei nostri giorni e affonda le sue radici nel passato. Ma la scelta di Papa Francesco di non spendersi nella difesa dei valori non negoziabili – e di fissare in cima all’agenda della chiesa la parola “misericordia” – non potrebbe, chiediamo ancora a Pera, avere degli effetti imprevisti sul tessuto politico e sociale del nostro paese? “Almeno per il cristianesimo, ne sta avendo uno devastante. Se Dio è misericordia, allora Dio perdona, e se la misericordia viene prima del giudizio, allora Dio perdona preventivamente. Inoltre, se ogni norma deve essere valutata e applicata ‘con discernimento’, allora la norma generale, che poi è la norma stessa, perde efficacia. Con ciò scompare la nozione di atto intrinsecamente sbagliato o peccaminoso. Scompare la possibilità di giudicarlo. Scompare la nozione di norma morale assoluta. Si esce dal dominio del ‘sì sì, no no’ e si entra nel campo del soggettivo, del precario, del contingente, dello storico. ‘Veritas filia temporis’ al posto di ‘Io sono la verità’. D’altro canto, quando sento uno che dice che anche le più semplici parole di Gesù devono essere interpretate, perché non sappiamo se le ha dette, come le ha dette, con quali intenzioni le ha dette, perché, insomma, non c’era il registratore (che Dio lo perdoni!), allora è messa in questione anche la stessa idea di Rivelazione. Nietzsche non avrebbe potuto dire meglio”.

 

Dunque ci sta dicendo che Papa Francesco ha di fatto messo sotto attacco la dottrina cristiana? “Non so neppure se si possa ancora parlare di dottrina cristiana, perché questa prevede l’assoluto, che è la parola di Dio. E’ questa parola che oggi si sta cambiando, indicando il falso bersaglio della gerarchia ecclesiastica. Ma i comandamenti vengono dal Sinai non dalla Curia! Anche qui sarebbe bene usare discernimento. Se si pensa che la curia sia da riformare, si deve avere riguardo di non toccare i capisaldi della fede. Se poi si vuole davvero ritoccare questi capisaldi, allora si devono usare procedure, atti e parole adeguate. Magari misericordiose. Autorizzare un qualunque prete a indossare le vesti di Vishinskij per additare quattro cardinali come nemici del popolo che ‘cincischiano’ è un’ingiuria intollerabile. Dai giacobini a Hitler a Stalin così si comportano solo i regimi totalitari. E poi ha ragione il cardinale Caffarra: una chiesa con meno dottrina, non è più misericordiosa, è solo più ignorante. E più ignorante significa più arrendevole”. La nostra chiacchierata con Marcello Pera si conclude con un ragionamento attorno a un dubbio: esiste infine un legame tra l’esplosione della società dei diritti e l’avanzata della società del populismo? Pera la mette così: “Mi pare che ci sia solo in questo senso. La società dei diritti è oggi la società liberale nella sua fase degenerata, del tipo supermercato dei valori. Il populismo è una reazione a questo stato di cose. Ma mi pare una reazione confusa: il populismo, anche senza dirlo, mette anch’esso in primo piano i diritti, quelli sociali di giustizia. Per questo è un po’ di destra e un po’ di sinistra: di destra, perché si protegge e si rinchiude, di sinistra, perché vuole emancipare i poveri. Trump e il Papa sono più vicini di quanto sospettino. Uno alza un muro, l’altro ne alza un altro”.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.