Magistrati fuori dalla politica

Redazione

L'auspicio del professor Cassese: "I giudici non rinuncino a essere i 'sacerdoti della legge'"

Professor Cassese, il presidente Davigo invita i magistrati a stare lontano dalla politica, mentre il Consiglio superiore della magistratura si interessa del magistrato Emiliano, un nuovo “capopopolo”, candidato alla segreteria di un partito. Davigo, peraltro, ha criticato la legge che ha previsto pensionamenti differenziati per alcuni magistrati perché ciò lede l’indipendenza della magistratura. Lei come vede questo intrecciarsi di opinioni e reazioni sul tema dell’indipendenza dei magistrati?

 

Comincio dalle posizioni del presidente Davigo circa l’età del pensionamento. Quei due anni di attività lavorativa in più, riconosciuti ad alcuni magistrati, ne minano l’indipendenza? Basta questo piattino di lenticchie a metterla in dubbio? Il corpo non è robusto a sufficienza per non essere corrotto da così poco?

 

Torniamo alla questione di fondo. I magistrati debbono astenersi dalla politica?

 

Facciamo un po’ di storia. Una volta si temeva la politicizzazione come conquista politica della magistratura dall’esterno. Ora, da un quarto di secolo, il problema si è invertito. Va temuta quella che ho definito – mi consente l’autocitazione? – nel mio “Governare gli italiani. Storia dello Stato” (il Mulino, ndr) “politicizzazione endogena”.

 

Che vuol dire?

 

Vuol dire che i magistrati, specialmente quelli delle procure, onnipresenti, protagonisti in materia di concorrenza, ambiente, moralità pubblica, e così via, precipitati sulle prime pagine dei giornali, finiscono per essere tentati dalla politica e aspirano a diventare sindaci, presidenti di regione, parlamentari, sfruttando la popolarità conquistata grazie all’ufficio ricoperto. Dal 1994 in poi, il numero dei parlamentari magistrati è triplicato rispetto al periodo precedente.

 

A quali critiche si presta questa presenza di magistrati nello spazio pubblico?

 

Innanzitutto, c’è da chiedersi se la carriera prepari bene i magistrati a questo nuovo ruolo. Poi, c’è da osservare che “prendere parte”, schierarsi con un partito, è il contrario dell’imparzialità che è richiesta dalla Costituzione ai magistrati, tanto che l’articolo 98 dispone che si possono con legge disporre limitazioni al diritto di iscriversi a partiti per i magistrati. Un magistrato dovrebbe essere e apparire un “sacerdote della legge”, per adoperare un’espressione enfatica. Le pare possibile che, dopo aver passato qualche anno come sindaco, amministratore regionale, parlamentare, ministro, un magistrato vada a sedersi nuovamente sugli scranni del giudice?

 

Perché questa esigenza di separazione è così sentita in Italia?

 

C’è un motivo specifico. La magistratura ha, per ragioni diverse, conquistato una prominenza particolare. Sono i magistrati che provvedono al “naming and shaming”. Sono loro che svolgono il ruolo di autorità morale. Sono loro che mettono in piazza la vita privata delle persone. Il “grande fratello”, se ha questo potere, deve anche imporsi particolari restrizioni. Sia chiaro, non penso che l’attuale esondazione di alcune procure, la pervasività di molte corti che decidono la localizzazione degli investimenti, la condotta degli affari, la vita delle persone, faccia bene al tessuto sociale. Ma questi sono fatti, e la magistratura deve tener conto delle conseguenze negative dell’ampliamento dei propri poteri.

 

Ma l’articolo 51 della Costituzione consente a tutti di accedere ai pubblici uffici.

 

Sì, vero. Ma lo stesso articolo continua disponendo che l’accesso avviene “secondo i requisiti stabiliti dalla legge”. Purtroppo, le nostre leggi, per colpa del nostro corpo politico, sono molto lassiste.

 

Insomma, lei porrebbe barriere invalicabili.

 

Sì, barriere, visto che i poteri sono separati. Non necessariamente invalicabili. In alcuni casi, potrebbe essere possibile valicarle, ma a patto di non voler tornare indietro. Si lascia definitivamente la carriera di magistrati, per entrare nella categoria dei dipendenti pubblici – funzionari in aspettativa.

 

Perché insiste sulla separazione dei poteri?

 

Ricordare un principio stabilito nel 1748 da Montesquieu potrebbe far sorridere. Il fatto è che il corpo dei magistrati costituisce la violazione vivente del principio. Sono magistrati quelli che gestiscono il ministero della Giustizia. Magistrati di ordini diversi collaborano con ministri. Magistrati siedono in Parlamento e nelle altre assemblee politiche. Questa partecipazione dei magistrati in altri poteri si innesta su un “ordine”, quello giudiziario, che pretende di avere nel Consiglio superiore della magistratura il “rappresentante del potere giudiziario verso l’esterno” (sono espressioni che si trovano in documenti del Consiglio stesso). Vede l’intrico? E tutto questo mentre la giustizia langue, proprio la giustizia che è il principale compito del corpo dei magistrati, e che dovrebbe essere amministrata in tempi solleciti.

 

Ma i magistrati incolpano di ciò l’assenza di cancellieri.

 

A parte che si sta rimediando a questa situazione, le pare un buon motivo per giustificare i ritardi? Non vi sono forse tribunali esemplari per efficienza? Non si può chiedere ai magistrati maggior impegno, come quello richiesto, ad esempio, ai professori universitari negli anni delle grandi immatricolazioni, quando i professori facevano i docenti, gli esaminatori, i segretari, i verbalizzatori, gli uscieri? Una supplenza temporanea non sarebbe utile e auspicabile? Conosco l’obiezione: così si limita l’indipendenza. Rispondo: questa è una declinazione sbagliata dell’indipendenza. Se si stabilisce un orario, se si fissa un tasso di produttività, se si determinano standard, non per questo si limita l’indipendenza dei magistrati. Queste sono soltanto modalità di svolgimento della funzione.

 

Insomma, lei che cosa consiglierebbe?

 

Di riscoprire l’obbligo di astenersi, innanzitutto, che è uno dei presupposti dell’indipendenza, astenersi dal fare interviste, dallo scrivere articoli, dall’esternare in vario modo su temi di attualità. Di tagliare i ponti con la politica, che è dominata dai partiti, per loro natura l’opposto dell’imparzialità. Di lasciare cariche, onori, uffici che non siano quelli di magistratura… si potrebbe forse ammettere la partecipazione al condominio e a congregazioni religiose.

Di più su questi argomenti: