Giovanni Toti (foto LaPresse)

“Adesso facciamo un partito nuovo: i Repubblicani”. Parla Toti

David Allegranti

“Superiamo i vecchi partiti, per battere Beppe Grillo. Berlusconi sia il federatore”. E con il Pd? “Mai più alleanze”, dice il governatore della Liguria

Roma. Hotel de Russie, le due di pomeriggio, sandwich sul tavolino, caffè. Il presidente della regione Liguria Giovanni Toti, prima di un vertice con Forza Italia sulla legge elettorale, parla con il Foglio del futuro del centrodestra. Da settimane infatti si parla soprattutto di Pd, fra scissioni e dintorni. Ma dall’altra parte c’è vita? Toti dice di sì. E dice anche che è l’ora di fondare un partito nuovo, nel quale entrino – dopo un adeguato percorso – Forza Italia, Lega, Fratelli d’Italia e i cattolici conservatori. Intanto, però, come si tengono insieme oggi Salvini e Berlusconi? “Salvini, Berlusconi, Meloni, Zaia, Maroni, Toti… E poi i centristi; qualcuno ce lo perderemo per strada, ma qualcun altro secondo me è recuperabile. Guardi, nel nord Italia governiamo già insieme. Per dire, io in maggioranza ho un consigliere regionale di Maurizio Lupi. In Lombardia Maroni ha 9 consiglieri e anche alcuni assessori importanti che provengono dall’area cattolica di centro. In Veneto c’è una formula diversa, perché lì Zaia con la sua lista civica ha messo dentro tutto quello che c’era dell’area ex Forza Italia-centro spazzata dallo scandalo Galan. Rappresentiamo 17 milioni di persone del nord Italia e quasi il 40 per cento del pil di questo paese è sotto governo del centrodestra”.

 

Ecco, ma come fa il centrodestra a stare insieme?

“Esattamente come sono stati insieme, e ancora adesso sopravvivono all’interno dei conservatori inglesi, l’anima di Boris Johnson e quella di David Cameron. Così come dentro i repubblicani c’è Trump, ma c’è anche chi la vedeva in maniera diversa e probabilmente la vede ancora. Per 20 anni ci siamo riempiti la bocca con la semplificazione della politica in Italia per rendere questo paese governabile. Ci abbiamo provato a farla con le riforme costituzionali. L’ultimo che si è schiantato è stato Renzi”.

 

E quindi, presidente? Come si semplifica il centrodestra?

“Bisogna semplificare l’offerta che diamo agli elettori. E’ un tema di volontà politica, non di architettura costituzionale o istituzionale. Anche il dibattito sulla legge elettorale lo trovo particolarmente ozioso. Perché se si vuole stare insieme e si vuole costruire un’offerta politica al cui interno si sentano a casa i leghisti, i cattolici conservatori e i riformisti laici, bisogna avere un partito grande con delle regole dentro. Un partito nel quale a volte prevale un’anima, a volte ne prevale un’altra, a seconda del clima del paese”.

 

Benissimo. Tanti nomi – da Berlusconi a Salvini a Meloni – ma il leader poi chi lo fa?

“Non vorrei finire come in Highlander. Serve una punta, poi serve una squadra, poi serve un modulo di gioco. Come nel calcio”.

 

E la punta chi la fa?

“Sarà scelta all’interno del contenitore. Come? Con un metodo democratico. Contandosi, non solo sulle persone, ma anche sui programmi e sull’azione di governo. In America la gente non ha scelto solo Trump come leader ma una serie di politiche che hanno prevalso all’interno del corpaccione repubblicano: meno immigrati; il muro col Messico; la denuncia dei trattati internazionali di libero scambio; la chiusura delle frontiere”.

 

Ognuno, insomma, dice Toti al Foglio, porterà la sua ricetta. “Poi però ci vogliono dei meccanismi di rappresentanza e di selezione della classe dirigente”.

 

Primarie? Congresso?

“Chiamiamole se vuole primarie, come le emozioni”, scherza Toti. “Però – dice il governatore addentando il sandwich – io partirei dall’inizio e poi arriverei alla fine. I partiti del centrodestra sono pronti a superare loro stessi. Oggi abbiamo un partito, Forza Italia, che era il partito della scuola di Chicago, del liberalismo più tradizionale e che piano piano si è radicato sul territorio; oggi ha un elettorato che molto spesso chiede più protezione, più sicurezza, un welfare sostenibile. Dopo 8 anni di crisi non vuole più liberalizzazioni selvagge. Dunque è un elettorato più vicino alla destra sociale che non agli ultraliberisti americani. La Lega è un partito che da quando c’è Salvini alla guida ha preso una strada molto trumpista nei suoi messaggi. La destra mantiene la radice che ha sempre avuto. Quale offerta dare agli elettori tra queste anime è in parte materia di confronto, in parte materia di conta. E’ ovvio”.

 

Il centrodestra, osserva Toti, deve fare i conti con la mutazione sociale e politica dei propri partiti. “Abbiamo una Lega che nasce secessionista, iperterritorialista e invece diventa sostanzialmente nazionalista. Abbiamo Forza Italia che nasce come partito ultraliberista e diventa un partito del ceto medio spaventato dalla crisi. Quindi molto più votato alla rassicurazione del ceto medio che non alla rivoluzione liberale. Abbiamo una destra che non è più la destra dell’Msi ed è passata attraverso Alleanza nazionale e ora recupera alcuni dei suoi valori tradizionali, miscelati con una particolare attenzione a quella che era la loro destra sociale: le periferie, il disagio. Noi siamo una coalizione di tre partiti che hanno subito tutti col tempo, e in questi 8 lunghi anni di crisi, una mutazione genetica. Dobbiamo dunque chiederci quanto vale la pena ristrutturare questi tre partiti o quanto invece vale la pena pensare a un contenitore nuovo che tenga tutte queste anime dentro”.

 

Un nuovo partito, quindi. E come si chiamerebbe?

“Il nome classico sarebbe ‘I Repubblicani’, come i Repubblicani americani. O i Conservatori. Siamo sul modello anglosassone. All’interno secondo me possono convivere tranquillamente tutte le anime. Non è la prima volta che accade in Italia. Berlusconi l’ha fatto tante volte. Il Pdl d’altronde nasce da un’idea molto simile a questa, anche se all’epoca non c’era la Lega. Questa semplificazione oggi è indispensabile. Non solo perché i partiti sono cambiati, ma anche perché ci confrontiamo con due partiti che per quanto divisi e spaccati e incapaci di azione politica sono monolitici; Grillo ha un partito vero, il Pd è un partito con la vocazione maggioritaria pura. A loro modo hanno fatto un percorso di novità. Grillo è nuovo in assoluto, Renzi – che poi si è suicidato – un percorso di novità lo aveva fatto eccome. Noi di centrodestra invece ci presentiamo con un’offerta frammentata ai nostri elettori”. Toti ne è convinto: “Il centrodestra oggi ha una chance storica. Renzi si è proposto come il nuovo e come l’argine a Grillo nelle elezioni del 2014 e ha preso il 41 per cento. Renzi non può più essere l’argine a Grillo, perché chi perde la Capitale di un paese difficilmente viene visto dal ceto medio come l’argine a qualcosa. Oggi il centrodestra è l’unico vero schieramento che si può candidare a essere l’argine alle follie dei cinque stelle e al contempo ha al suo interno la possibiltià di rinnovarsi”. Serve però una spinta, un motore che dia il via. “L’ho detto un sacco di volte a Berlusconi che lui è la persona che ha la credibilità, la statura, per essere il federatore di questo nuovo partito. Berlusconi oggi ha l’autorevolezza, l’esperienza, l’età e rappresenta i cromosomi questi schieramenti. C’è un pezzo del suo dna in ognuno di questi partiti. Poi, certo, all’interno del partito, le governance a tutti i livelli devono uscire dal sistema di cooptazione che per troppo tempo ha regnato, ma non solo in Forza Italia. Anche nella Lega”. Toti dunque farebbe una consultazione per scegliere il nuovo leader: “Modello caucus e primarie. Un terzo iscritti, un terzo elettori con le primarie, un terzo consiglieri comunali e parlamentari, con una ponderazione di voto a seconda di quanti elettori rappresentano”.

 

Presidente, ma un nuovo patto con Renzi lo fareste? Magari per governare insieme se nessuno riesce a superare il 40 per cento.

 

“Lo escludo, perché i nostri elettori non vogliono un accordo con il Pd. E’ un accordo che non ha fatto bene al paese in questi tre anni, ha paralizzato il Parlamento e ha creato i peggiori fenomeni di trasformismo”.

 

Neanche per fermare insieme i Cinque stelle?

“Per fermare i Cinque stelle io conto che il centrodestra possa arrivare al 40 e incassare il premio di maggioranza. Dobbiamo puntare a quello. D’altronde è già successo. Alle elezioni del 2008 il Pdl più la Lega superarono il 40 per cento e avrebbero incassato il premio. Renzi alle Europee del 2014 ha superato il 40 per cento e avrebbe incassato il premio. Oggi un’altra coalizione di centrodestra viene data dai sondaggisti sopra il 32-33 per cento. Mancano 7 punti. Ma essere l’argine ai Cinque stelle e innescare una novità virtuosa può costituire quel dividendi in più che gli elettori sono disponibili a darci”.

 

E se invece Salvini volesse allearsi con Grillo?

“Non credo che Grillo e Salvini siano compatibili. Ho parlato spesso con il segretario della Lega in queste settimane e in questi mesi, ha una visione abbastanza chiara di quello che vuole e credo che rappresenti una fetta importante dell’opinione pubblica del nostro centrodestra, che è stufa di regalare soldi all’Europa, che misura i cetrioli e fa la Bolkestein. Salvini rappresenta perfettamente quel riflusso dalla globalizzazione che oggi innerva l’opinione pubblica del mondo, non solo dell’Europa e la rappresenta al meglio. Abbiamo avuto gli anni della sbornia e della globalizzazione, con Clinton e con l’Ulivo mondiale di Tony Blair; quel mondo ha certamente creato benefici a qualche paese ma ha impoverito, insieme alla crisi economica, le classi medie delle democrazie e delle economie più avanzate”. Oggi, dice Toti, “quelle classi medie hanno paura e Salvini si rivolge a loro; lui esprime e porta in politica un sentimento di paura che c’è, è inutile far finta che non ci sia. Poi, certo, io sono meno apodittico di Salvini. L’uscita dall’euro certamente non so se sia possibile e in quali tempi, ma so per certo che l’euro così non sta proteggendo la nostra economia. Così come l’Unione europea: non funziona e va ridisegnata”. Una discussione che vale, appunto, un congresso.

  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.