Silvio Berlusconi (foto LaPresse)

Berlusconi: le mie condizioni per andare al voto (e senza coalizioni)

Claudio Cerasa

“Gli italiani hanno il diritto di scegliere da chi vogliono essere governati, ma sull’Italicum l’esigenza di un passaggio parlamentare c’è”. Urne, Salvini, Trump. “Renzi mai più a Palazzo Chigi? Dipende da lui”. Intervista al Cav.

Il 26 gennaio del 1994, Silvio Berlusconi si presentò con un videomessaggio di nove minuti inviato a tutti i telegiornali delle reti televisive nazionali e annunciò le ragioni politiche della sua famosa discesa in campo. A ventitré anni esatti da quel video che da subito divise l’Italia, Berlusconi si prepara a organizzare la sua sesta campagna per le elezioni politiche. Che il voto sia tra un anno o tra pochi mesi conta fino a un certo punto. Ciò che conta è che per la prima volta nella storia del berlusconismo (parola che il Cav. non ama) gli storici avversari di Berlusconi, i dirigenti del maggior partito di centrosinistra, per un’infinità di ragioni si ritrovano in una condizione molto particolare, di chi, cioè, osserva il partito di Berlusconi non più come il nemico giurato contro il quale combattere la battaglia della vita (anche se ieri la procura di Milano ha nuovamente iscritto il Cav. nel registro degli indagati nell’ambito del processo Ruby quater, il Caimano non esiste più), ma come un possibile alleato per il futuro del paese, insieme al quale costruire, da posizioni di governo, una muraglia contro i nuovi e vecchi populismi. La sentenza della Consulta, se possibile, ha mostrato chiaramente lo scenario che ci attende nei prossimi mesi a prescindere da quando si andrà a votare: a meno di miracoli, nel sistema proporzionale con piccola correzione maggioritaria alla Camera disegnato dalla Consulta, il centrodestra e centrosinistra, se vorranno governare nella prossima legislatura, lo dovranno fare insieme. All’indomani della sentenza della Corte costituzionale, Silvio Berlusconi ha accettato di chiacchierare a lungo con il Foglio, per esplicitare la sua strategia futura, la sua visione dell’Europa, il suo rapporto con Renzi, le sue idee su Trump e per giocare con noi su un punto sollevato da questo giornale lunedì scorso: se il centrosinistra oggi è pronto per governare senza polemiche con il centrodestra forse è anche perché, su diversi piani culturali il berlusconismo ha vinto.

Partiamo dall’attualità, poi arriviamo a tutto il resto. Presidente Berlusconi, alle prossime elezioni spera di arrivarci con un sistema elettorale che non intrappoli i partiti in coalizioni o spera di arrivarci con un sistema che aiuti i partiti del centrodestra a presentarsi alle urne uniti sotto un’unica lista prima delle elezioni?

“Le coalizioni imposte dalla legge elettorale – lo hanno dimostrato sia l’Ulivo che l’Unione – non funzionano. Anche nel centro-destra la convivenza obbligata con partner recalcitranti, se non addirittura infidi, ha reso molto più difficile la nostra azione di governo e ci ha impedito di fare alcune riforme, dal fisco alla giustizia, che consideravo indispensabili. Quindi non mi appassionerei a questo problema, soprattutto in una fase nella quale la trasformazione del sistema politico da bipolare a tripolare rende qualsiasi sistema maggioritario inapplicabile se non a prezzo di una grave distorsione della democrazia. Per questo io chiedo una legge elettorale proporzionale, per vincere nell’ambito del centro-destra: un’alleanza che deve basarsi su valori e programmi condivisi, e non può essere solo una somma di partiti che stanno assieme, costretti dalle regole elettorali, per provare a vincere. Se poi in Italia oggi non esistesse una maggioranza di cittadini pronta a sostenere uno schieramento, allora non potremmo far guidare il paese ad una piccola minoranza (piccola perché metà degli italiani comunque non vota). In ogni caso dovrà essere il Parlamento ad occuparsene, sulla base delle regole e dei paletti fissati dalla Consulta. Ma non è pensabile che in una democrazia sia un organo giurisdizionale, e non un organo legislativo, a scrivere la legge elettorale. In effetti, alla luce della sentenza dell’altro ieri, si pone la necessità di armonizzare i sistemi elettorali di Senato e Camera, come giustamente indicato dal Capo dello Stato. Questo non può essere un pretesto per dilazionare l’appuntamento con le urne, per rinviare ancora il legittimo diritto degli italiani di scegliere finalmente da chi vogliono essere governati, dopo quattro governi di seguito non eletti dal popolo. Ma la necessità di un intervento legislativo esiste certamente: abbiamo bisogno di una legge elettorale il più possibile condivisa che garantisca la piena corrispondenza della maggioranza parlamentare alla maggioranza degli elettori”.

 

Durante la campagna elettorale per il referendum, lei ha detto che la riforma costituzionale non funzionava perché era troppo al ribasso. E’ pronto nella prossima legislatura ad aprire un confronto con il centrodestra sul sistema presidenziale o crede che il modello francese ormai sia da archiviare?

“Sono prontissimo ad aprire un tavolo con tutti, perché la Costituzione riguarda tutti. Ovviamente vorrei che il centro-destra arrivasse a questo tavolo con una posizione comune. Il sistema francese ha diversi limiti, se per esempio – come oggi pare – la sinistra rimarrà fuori dal ballottaggio sarà un’anomalia e non un indizio di buon funzionamento del sistema. Tuttavia l’elezione diretta del Capo dello Stato, in un quadro costituzionale diverso, rimane uno dei nostri capisaldi”.

 

In un mondo come quello di oggi, in cui il sistema proporzionale è destinato a creare una grande frammentazione nel sistema politico, non crede sia concreto il rischio di un’alleanza di governo tra il Movimento 5 stelle e la Lega Nord nel caso in cui non dovessero esserci altre alternative di governo?

“E’ un’ipotesi che mi fa sorridere e inorridire. Se dovesse accadere, sarebbe la fine politica di entrambi. Io credo che la Lega nord sia una parte integrante del centro-destra e si comporterà come tale. I leghisti che ho conosciuto in vent’anni sono persone serie”.


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Se Matteo Renzi dovesse decidere di far cadere il governo Gentiloni, Forza Italia sarebbe disposta a dare i suoi voti per sostenere questo governo?

“Ho stima di Gentiloni e ne apprezzo lo stile e alcuni gesti, ma noi siamo e rimarremo all’opposizione di un governo che è espressione del Pd ed è sostanzialmente identico al precedente”.

 

Presidente, usciamo un istante dai confini italiani e proviamo a ragionare su quello che sta succedendo in Europa, in Russia e in particolare in America. L’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca ha coinciso con un improvviso ritorno del culto del protezionismo. Ci spiega perché il protezionismo, essendo il contrario del libero mercato, alla lunga rischia di essere una grande e illusoria chimera?

“Il protezionismo nella storia non ha mai funzionato proprio perché è il contrario del libero mercato: a breve termine può favorire le imprese nazionali, ma il conto di questo lo pagano i consumatori dello stesso paese che adotta politiche protezionistiche. In pratica il consumatore è indotto ad acquistare un prodotto nazionale, magari di qualità inferiore e a prezzi più alti, perché – grazie alle tariffe doganali – aumenta il prezzo di ciò che viene prodotto all’estero. Serve alle aziende, nell’immediato, ma non ai cittadini. Ma a lungo termine danneggia anche le aziende che, non essendo più costrette a misurarsi con la concorrenza, non avranno più ragioni per innovare e investire, per ridurre i costi e aumentare l’efficienza. E quindi gradualmente si indeboliranno e sui mercati internazionali saranno sempre meno in grado di competere. Al tempo stesso il consumatore (in questo caso il consumatore americano), avendo meno scelta e prodotti più cari, ridurrà le sue abitudini di acquisto, e quindi anche il mercato interno gradualmente si indebolirà. Insomma, dopo un po’ di tempo potrebbero essere tutti più poveri. Detto questo, voglio anche sottolineare che invece altri aspetti della politica economica annunciata da Trump, come gli sgravi fiscali massicci, sono assolutamente condivisibili”.

 

Torniamo all’Europa. Prima questione: ci spiega perché in Francia lei voterebbe per Fillon e non per Le Pen?

“Ho sempre detto a proposito delle elezioni americane che non credo sia opportuno per un leader politico italiano esprimere indicazioni di voto sulle scelte democratiche di un altro paese amico e alleato. Ha sbagliato Renzi a farlo e l’ho criticato per questo. Naturalmente quello che vale per le elezioni americane vale anche per le elezioni francesi. Posso solo dire che la signora Le Pen, pur dando voce a sentimenti diffusi e legittimi, rappresenta una cultura, una storia e una visione politica lontane dalla mia”.

 

Ci può dare una valutazione concreta di cosa rappresentano per il pensiero liberale europeo le storie e i percorsi di Angela Merkel e Mariano Rajoy? Cosa può imparare l’Italia da questi leader?

“Sono due storie emblematiche della storia recente dell’Europa. Angela Merkel e Mariano Rajoy sono nati e cresciuti sotto due dittature, il comunismo nella Germania est e il franchismo in Spagna, ed oggi sono alla guida di due delle maggiori democrazia europee. Questo vuol dire che il valore della libertà è straordinario, e che tuttavia la libertà non è affatto scontata. Pochi decenni fa in molte parti d’Europa la democrazia liberale era un sogno o un’utopia. La gran parte degli italiani di oggi sono cresciuti in un sistema democratico, e sono abituati a darlo per scontato. Ma se la libertà è la condizione naturale dell’uomo, non è affatto scontata, e – come dice una bellissima scritta che campeggia a Washington al memoriale dei caduti in Corea e in Vietnam – freedom is not free, la libertà non è mai gratis. Comporta un prezzo per conquistarla e per difenderla. Molte famiglie americane lo hanno pagato sacrificando i loro figli in Corea e in Vietnam, ma ancora prima in Europa per la nostra libertà.  Molti leader europei, come Merkel e Rajoy, hanno dovuto conquistarla in anni difficili. Per noi l’hanno conquistata i nostri padri, oltre ai combattenti dei paesi liberi, ma proprio per questo dobbiamo esserne degni, e non metterla in pericolo. Forse è utile ricordarlo, a chi non va a votare o vota per forze politiche avventuriste”.

 

L’arrivo di Antonio Tajani alla guida del Parlamento europeo, oltre a essere un riconoscimento importante per Forza Italia, consente al suo partito di imboccare un percorso chiaro all’interno del palcoscenico europeo. A sette mesi dalla Brexit, ci può dire quali possono essere i provvedimenti concreti che l’Europa potrebbe promuovere per far sì che l’ascesa di Trump e l’uscita della Gran Bretagna dal perimetro economico europeo siano una grande occasione di rinascita dell’Europa e non la sua fine?

“E’ la più grande sfida che le classi dirigenti europee si sono trovate ad affrontare da quando esiste l’idea stessa di Europa unita. Sinceramente non so quanto siano preparate ad affrontarla. Io sono particolarmente lieto del fatto che Antonio Tajani sia stato eletto al vertice non di una qualsiasi istituzione europea, ma proprio del Parlamento, perché il Parlamento è l’unica istituzione, nella costruzione europea, che è espressione dei popoli d’Europa e non di una tecnocrazia che non funziona. Io credo che la Brexit e l’elezione di Trump siano due fenomeni solo parzialmente assimilabili: quello però che è certo è che entrambi contengono una forte rivendicazione di sovranità nazionale. Questo, nel caso della Brexit, è un chiaro fallimento dell’Europa, della filosofia e del metodo con i quali questa Europa è gestita. Io credo che valga per l’Unione Europea la stessa distinzione che vale per gli stati: qual è la differenza fra uno stato liberale e uno stato totalitario? Entrambe le forme di stato comportano una limitazione della sovranità dell’individuo, che non è più libero di fare tutto quello che vuole, ma che cede una parte della sua libertà alla collettività. Ma nello stato liberale questo avviene in cambio di un rafforzamento e di una miglior tutela dei diritti di ciascuno, per esempio della tutela della persona, dei diritti di proprietà eccetera; nello stato totalitario invece si ha una semplice ed arbitraria limitazione delle libertà in cambio di un presunto interesse generale deciso da qualcun altro, da un tiranno più o meno illuminato, da un partito, da una burocrazia. Noi avremmo voluto un’Europa nella quale in cambio della cessione di quote di sovranità si creasse uno spazio comune di libertà, di democrazia, di partecipazione. Un’Europa di popoli liberi basata su valori condivisi, su una visione comune dei diritti della persona. Al contrario un’Europa burocratica, nella quale alcuni tecnocrati fissano regole astratte e spesso ottuse, che favoriscono qualcuno ai danni di altri, somiglia piuttosto a un modello statalista e totalitario che a una comunità di uomini liberi. Non è strano che chi può sia tentato di fuggirne. Ma è un peccato, perché così fallisce il più bel sogno del 20° secolo, quello con il quale la mia generazione è cresciuta. Il sogno di De Gasperi, di Adenauer e Schuman. E viene meno l’unica possibilità per noi europei di avere un ruolo nel mondo globalizzato”.


Silvio Berlusconi con Antonio Tajani (foto LaPresse)


In alcune occasioni, anche recentemente, le è capito di esprimere parole di apprezzamento per il presidente della Bce Mario Draghi. Ci spiega che valore ha avuto per l’Europa e l’Italia l’approccio scelto dal governatore alla guida della Banca centrale?

“Sono orgoglioso di aver ottenuto, quando governavamo, la guida della Bce per un italiano di grande valore come Mario Draghi. La sua presidenza ha segnato una svolta importante: finalmente la Bce si è posta al servizio dello sviluppo, favorendo l’immissione di liquidità sui mercati attraverso lo strumento del Quantitative Easing e ottenendo la svalutazione dell’Euro, preziosa per la competitività delle nostre aziende sui mercati internazionali. Sono due provvedimenti che credo siano stati decisivi per far uscire l’Europa dalla crisi e riprendere la strada della crescita. Peccato che l’Italia, per problemi strutturali e per gli errori dei governi che sono succeduti al nostro, ne abbia approfittato poco o nulla, a differenza dei nostri partner europei”.

 

Torniamo all’Italia, ma arriviamoci attraverso un tema importante che riguarda il rapporto tra il nostro paese, la Russia e l’America di Trump. Nel prossimo G7 il governo italiano tenterà di ripetere un’operazione di successo che le riuscì a Pratica di Mare: tenere all’interno del perimetro dell’occidente la Russia di Putin. Anche il ministro Pinotti ha elogiato il Berlusconi di Pratica di Mare. Non crede che sia questa una delle differenze tra lei e Trump: il presidente americano vuole usare la Russia per far saltare le coordinate della Nato; lei voleva valorizzare la Nato allargandola in qualche modo alla Russia.

“Sinceramente non condivido questa lettura. A Pratica di Mare avevamo ottenuto un risultato storico: coinvolgendo la Russia cambiava il significato strategico della Nato. L’Alleanza Atlantica, nata come struttura politico-militare difensiva dei popoli liberi dell’Occidente contro la Russia comunista continuava ad essere un’alleanza di popoli liberi contro nuovi e diversi avversari. Negli ultimi anni, invece, l’Alleanza è tornata ad assumere un profilo anti-russo, passando a una stagione nella quale la Russia di Putin da partner strategico è tornata ad essere considerata come avversario. Trump vuole superare questa logica che ha caratterizzato la Nato e la politica Usa in tempi recenti, e così facendo aiuta a far rinascere lo spirito di Pratica di Mare. Sta ai partner europei della Nato favorire questa impostazione e non contrastarla. Se il governo italiano agirà in questo senso avrà su questa materia tutto il nostro appoggio”.

 

Questioni italiane. Con la difesa di Mediaset fatta dal governo di centrosinistra, in un certo modo la sinistra ha restituito a Berlusconi ciò che era di Berlusconi e ha ammesso indirettamente che il conflitto di interessi non esiste: ciò che è strategico per il Berlusconi imprenditore può essere strategico anche per il paese. A proposito di aziende strategiche, da italiano crede sia un bene che un’azienda come Generali possa aprirsi al mercato internazionale sul modello Luxottica o crede che un’azienda come Generali debba mantenere a tutti i costi la sua italianità?

“Generali come Mediaset è una grande impresa italiana che credo sia bene rimanga in mani italiane, anche perché custodisce una parte significativa del nostro risparmio gestito. La politica e le autorità di controllo devono fare la loro parte, non interferendo con il libero mercato, ma garantendo il rispetto delle regole, e rafforzando le condizioni perché il sistema paese sia sostenibile e non terreno di scorribande straniere. Questo in particolare per le aziende che per ragioni diverse hanno maggior valore strategico”.

 

Sulla giustizia, in questa o nella prossima legislatura, quali sono tre questioni cruciali sulle quali centrodestra e centrosinistra devono mettersi d’accordo per provare a offrire al paese una giustizia più giusta? 

“Le nostre priorità sulla giustizia sono quelle di sempre: giusto processo, separazione delle carriere, inappellabilità delle sentenze assolutorie di primo grado, irretroattività di ogni effetto anche indiretto della legge penale. Spero che il Pd abbia raggiunto una maturazione maggiore su questi argomenti. Le questioni della giustizia riguardano milioni di cittadini, anche perché quando una persona si trova coinvolta in una vicenda giudiziaria a soffrirne non è solo lui, sono la sua famiglia, i suoi parenti, i suoi amici. Però queste vicende sono come certe malattie: ne è consapevole solo chi le ha provate. Io oggi credo di essere uno dei maggiori contributori privati alle ricerche sul cancro. Sa perché? Perché quasi vent’anni fa ho dovuto fare i conti con un tumore, per fortuna guarito. Prima di allora ovviamente conoscevo il problema, ma non ne avevo vissuto la drammaticità. Solo essendone toccati la si comprende davvero. Per questo mi sento molto vicino, anche sul piano affettivo, ai malati e alle loro famiglie. Lo stesso vale per la giustizia”.

 

Un appunto sul Movimento 5 stelle. Come ha sottolineato più volte il nostro giornale, presenta dei tratti evidenti di incostituzionalità politica. In particolare, l’articolo 67 della Costituzione, divieto di mandato imperativo. Non trova curioso, per non dire scandaloso, che nessun magistrato e nessuna procura si interessi alla presenza di un movimento potenzialmente eversivo? C’è forse una linea sottile che collega il mondo delle procure con il Movimento 5 stelle? 

“Non so rispondere. Certo, il fatto che alcuni settori della magistratura italiana appaiano politicamente non neutrali è sotto gli occhi di tutti: ancora pochi giorni fa per esempio lo ha ribadito il Consiglio d’Europa. Di questa politicizzazione io sono la prima vittima, quindi conosco bene l’argomento. Vorrei però aggiungere una considerazione sul Movimento Cinque Stelle. Sono stato il primo in Italia a denunciarne il carattere potenzialmente eversivo e totalitario. Nella campagna elettorale del 2013 ho evidenziato le analogie fra il linguaggio di Grillo e quello delle campagne elettorali di Hitler. Però in certi casi i grillini non hanno tutti i torti. Ad oggi, è vero, la Costituzione vieta il vincolo di mandato, ed ovviamente la Costituzione vigente va rispettata. Però l’assenza di vincolo di mandato si presta a molti abusi. Oggi il Parlamento si regge su maggioranze fatte di transfughi, di persone venute meno ai propri impegni con l’elettorato. Io credo che questo non si possa accettare. Nella nostra proposta di modifica della Costituzione, chi cambia idea si deve dimettere. Ovviamente questo non c’entra con la libertà di coscienza dei parlamentari su un singolo argomento, che è sacrosanta e che noi abbiamo sempre garantito. Ma non è accettabile che un eletto venga meno all’impegno preso con gli elettori e cambi schieramento senza conseguenze. Questo aumenta il discredito della politica e della stessa democrazia”.

 

Presidente Berlusconi, è inutile girarci intorno: a ventitré anni dalla sua discesa in campo il berlusconismo è diventato egemonia culturale. Dalla televisione alla giustizia passando per l’apertura al mercato e il governo dell’Europa. In che cosa secondo lei il suo pensiero culturale è diventato prevalente in Italia?

“Non vorrei deluderla, ma in realtà il berlusconismo non esiste. Esistono una serie di temi, come quelli che lei ha citato, sui quali la mia attività di imprenditore, di editore e poi di leader politico ha contribuito a rilanciare e a dare più forza a idee, contenuti, metodi liberali. Questo è un traguardo che io mi permetto di considerare davvero importante, in un paese che ha grande bisogno di liberalismo e nel quale sono tanti i liberali a parole e pochissimi i liberali nei fatti, nelle scelte, nella cultura, nell’imprenditoria. Vede, è un tipico atteggiamento snobistico della sinistra atteggiarsi a maîtres à penser ripetendo delle banalità o delle teorie già contraddette dalla storia. Io da liberale – a differenza loro – non ho bisogno di tutto questo, anzi lo considero un tipico sintomo del provincialismo della cultura politica italiana. Sono i fatti – e saranno gli storici del futuro – a dire cos’è cambiato in Italia grazie al mio impegno, che poi non è solo mio. Nulla sarebbe stato possibile, già nell’azienda, senza un gruppo di collaboratori di eccezionale profilo intellettuale, e in politica senza il sostegno e la partecipazione attiva di milioni di italiani. Ecco, forse questo è per un mio merito: aver dato un significato al concetto di cittadinanza, aver reso protagonisti i cittadini, aprendo e allargando un ceto politico tradizionalmente chiuso. E’ quello che si deve continuare a fare: coinvolgere in politica persone e gruppi sociali nuovi. La politica se non si apre e non si rinnova, muore”.

 

Non è una scelta berlusconiana, diciamo così, il fatto che la Rai abbia scelto di affidare a uno dei simboli del berlusconismo televisivo, Maria De Filippi, la conduzione del Festival di Sanremo? 

“Le ho già detto cosa penso del berlusconismo. Maria De Filippi è una grande professionista dello schermo, che sono orgoglioso di aver portato a Mediaset quando mi occupavo dell’azienda.  La RAI non ha fatto una scelta ‘berlusconiana’, ha fatto una scelta di qualità che apprezzo”.

 

Presidente, una conclusione su Renzi. Con il sistema politico che si sta delineando, lei crede che sia da escludere che un politico come Matteo Renzi possa tornare a Palazzo Chigi anche in caso di vittoria del Pd alle elezioni? 

“Perché no? Renzi è il leader del suo partito. Non c’è nulla di strano nel fatto che, se vince le elezioni, guidi il governo. Naturalmente deve essere in grado di raccogliere una maggioranza nel Pd e in Parlamento”.

 

In conclusione, una piccola provocazione. In molti dicono che il grande problema di Matteo Renzi in questi anni è stato più che il suo programma di governo il suo partito che lo ha tenuto in ostaggio in diversi passaggi cruciali della sua vita politica. Se Matteo Renzi un giorno dovesse proporre a Silvio Berlusconi di costruire insieme un unico grande partito dei moderati, lei sarebbe contrario?

“Non so risponderle… Di fantascienza non mi occupo. Se Renzi un giorno decidesse di diventare un moderato, lasciasse il Pd e chiedesse di iscriversi a Forza Italia, immagino che non mi opporrei… In fondo è giovane, ha tempo per ricredersi e per correggersi!”.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.