Marco Pannella (foto LaPresse)

Pannella, colosso che sputava fuoco a ogni momento

Giuliano Ferrara
Fu colossale. Torreggiava. Aveva una smisurata fiducia in sé stesso e negli amici, nei compagni, nei nemici. Si viveva come un profeta. La missione era la sua materia.

Fu colossale. Torreggiava. Aveva una smisurata fiducia in sé stesso e negli amici, nei compagni, nei nemici. Si viveva come un profeta. La missione era la sua materia. La politica di minoranza e di maggioranza, quella vera, spregiudicata, erotica, di volta in volta pulita e sporca al punto giusto, era il suo mezzo d’elezione. Sognava l’universalismo, l’Onu, la transnazionalità, i diritti dell’uomo della donna del transgender del carcerato del fumato dell’ubriaco del rivoltoso della vittima e se necessario anche del carnefice. Cacciatore d’anime, più volte reo di plagio ideologico, ispiratore di bellezza, di vanità, di narcisismo della specie dolce, persuasiva, logorroica e rarefatta di parole preziose. Fu lettore di Saint-John Perse e di Victor Segalen. Fu anche collerico, rissaiolo, un ragazzo di strada, il mulo abruzzese fattosi liberale e radicale e re di un salottone comunitario mai chic, sempre elegante e gargantuesco, gigantesco. Era capace delle peggiori frodi in commercio, ma commerciava in idee e in fatti compiuti. Stava sempre in televisione, vestito spesso da morto con giacche e cravatte lise, pazzesche, lugubri, a protestare perché era in atto un furto di informazione. Seppe prendere in giro gli sciocchi, seppe banalizzarsi senza paura, seppe ingrassare e perdere peso ad libitum, ascetico e mangione, digiunatore e santo corpulento, godereccio. Amò il governo con tutto sé stesso, si voleva come uno che realizza, che induce e produce la sostanza della politica, le leggi.

 

Giocava in solitario, come carte per combattere la noia, le figure piccole, amici e compagni veri a parte, che lo circondavano e gli facevano da mosche cocchiere. Lui galoppava sempre, e perfino negli ultimi tempi, costretto al trotto e poi al passo e poi alla stasi, parlava visitato da una acuta demenza che eccitava e narcotizzava chi gli si avvicinasse, e produceva lo strano magico effetto di un discorso politico come memoria vivente di quel che non è più. Paradossale come un fedele d’altri tempi, uno uscito dai saggi di Chateaubriand sul genio del cristianesimo, votò contro il divorzio e l’aborto nella loro formulazione legale, che però furono entrambi figli della sua tigna, della sua convinzione politica, mentre sulla morale comune, concetto che aborriva, era un calvinista rovesciato, un borghese moderno e progressista, un immenso educatore e diseducatore della meglio e della peggio gioventù. Che cosa abbia fatto, più o meno si sa. Giornalismo ottocentesco, oratoria fluente e contraddittoria, ellittica, mai completamente logica, sempre intimidente per passione, per arte sottile, per sola fede e sola scrittura. Organizzazione, comunità, invenzioni, fiancheggiamenti, rovesciamenti di campo, tradimenti per il bene della causa, vittorie celebri, sconfitte prodigiose, diavolerie, amore per le tecnologie, per gli archivi, per il passato di tutte le possibili illusioni. Diceva di sperare e non c’era motivo di non credergli. Aveva infatti gli occhi tra i più belli al mondo, di un verde imbarazzante, di un chiarore da lampione stradale, e tutta la sua allure, il suo panache, suonava come il suo meraviglioso francese che incuteva rispetto e meraviglia ai parlamentari europei, e che aveva conquistato i caffè di Parigi in epoca lontana.

 

Fu anche uno strepitoso impostore, un enfant du Paradis, un mimo e un gigione da palcoscenico, una maschera dal volto largo, affilato nei tratti pertinenti, una bocca che ingurgitava e sputava fuoco ad ogni momento. Quando recitava, nessuno si alzava dalla sedia, nessuno prendeva l’uscita del teatro. Ammaliare era il suo sesto senso, e gli altri cinque furono sperimentati in una vita che fu bella, semplicemente bella, e che ora, addormentatosi il titolare nel dolore e nella morfina, sarà commentata con molti luoghi comuni. Tutti benvenuti, anche da lui che vorrebbe aggiungersi ai commenti e formulare qualche nuova domanda per mettere in imbarazzo i padreterno. Teramano, carico di onorificenze sul campo, guru di una setta luccicante di vita, fu il più clericale dei mangiapreti e uno degli uomini più squisiti, dolci, teneri che la vita italiana pubblica e privata ci abbia dato il privilegio di sfiorare con le nostre infinite rozzezze. Ciao un cazzo, caro Pannella, addio piuttosto.

 

 

  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.