L'infernale guerra tra curdi svelato da Tony il "peshmerga svedese"

Adriano Sofri

L'autoillusione sulla romantica unità degli irredentisti

Ho scritto più volte qui delle divisioni e delle rivalità fra partiti e formazioni militari curde – un partito, e anche una corrente di partito, che non disponga di una sua forza armata non ha un vero peso nella società curda. Ne ho scritto sapendo come sia difficile per chi legge tenere dietro alla miriade di denominazioni e ai loro connotati locali, ideologici, tribali. Ne scrivo avendo una forte simpatia e solidarietà per il valore con cui la gente curda, erede di mille persecuzioni, difende la propria causa e la nostra contro l’abominevole terrore jihadista, e sentendo quanta cautela occorra usare di fronte a persone che si trovano nel fuoco di una lotta, spesso contro una forza soverchiante, come in Turchia. D’altra parte, presentare, per ignoranza o per convenienza, i combattenti curdi come un popolo in armi idillicamente unito è una sciocchezza troppo grossa, destinata prima o poi a tradursi in incomprensione dei fatti, delusione e cinismo.

 

L’autoillusione su una romantica unità dell’irredentismo curdo, o la leggenda sull’una o l’altra delle sue fazioni senza macchia e senza paura, fa a pugni con tutto ciò che sappiamo della storia del mondo e di noi stessi, e forse perciò le cediamo volentieri: con ciò che sappiamo del nostro Risorgimento, della nostra Resistenza, della nostra attuale convivenza politica e civile, per restare a noi. Il punto più esacerbato dei conflitti intestini ai combattenti curdi, e delle interposte ostilità fra le potenze statali rivali, è dall’inizio del mese il territorio del Sinjar, come ho raccontato. Ora un nuovo, singolare episodio è venuto a illuminarlo. Un cittadino svedese, Tony Ekman, 51 anni, con un’esperienza militare, si è trasferito da un anno e mezzo nel Krg, il Kurdistan iracheno, per unirsi ai peshmerga, a Kirkuk e a Shingal-Sinjar, contro l’Isis. Non mi è chiaro dalle pur dettagliate cronache se avesse aderito alle file dei peshmerga del Krg, a loro volta divisi fra i due partiti maggiori, o del Pkk, la “guerriglia” curdo-turca in esilio nel Krg, che annovera anche militanti curdi iracheni e yazidi.

 

Nei giorni scorsi c’erano stati a Shingal scontri ripetuti fra i peshmerga obbedienti al Pdk, il partito curdo-iracheno di Barzani, a loro volta esuli dalla Siria in dissenso dalle milizie del Rojava curdo-siriano obbediente al Pkk, e le forze armate di quest’ultimo. Il volontario svedese, a quello che si capisce, avrebbe rifiutato di partecipare al conflitto che oppone curdi a curdi e sarebbe stato perciò arrestato dai combattenti del Pkk. La sua vicissitudine, e l’appello all’aiuto da lui lanciato, sono state rese pubbliche dal quotidiano svedese Aftonbladet e riecheggiate martedì ampiamente dai media curdi. Le autorità del governo curdo hanno chiesto al Pkk il rilascio immediato “del peshmerga Tony”. I capi del Ybs, i combattenti curdo-yazidi del Pkk a Shingal, hanno replicato di non opporre alcun ostacolo alla libertà di movimento dello svedese e hanno accusato a loro volta il governo di Erbil di aver sequestrato e detenuto volontari stranieri venuti a unirsi alle loro file. In un messaggio al fratello, in Svezia, Ekman ha scritto: “E’ l’inferno”. Ha scritto di non capire perché i suoi carcerieri stiano accanendosi con lui, “invece di combattere contro l’Isis”.

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