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Ecco perché non è più così assurdo pensare alla guerra tra Usa e Iran

Adriano Sofri

Le prossime elezioni a Teheran, una ferrovia e Ankara furiosa

Vorrei attirare l’attenzione su una notiziola comparsa l’altro ieri nelle agenzie del Vicino Oriente. Si tratta di un viaggio elettorale del presidente iraniano, Hassan Rouhani, nella regione del Kurdistan iraniano. Come sapete, il territorio popolato in maggioranza, e da tempi antichi, da curdi si divide soprattutto fra Turchia, Siria, Iraq e Iran. In quest’ultimo si calcola che i curdi siano almeno 7-8 milioni. Vivono in una condizione di discriminazione e non di rado di persecuzione violenta. Le loro maggiori formazioni politiche e militari hanno di recente dichiarato la ripresa della lotta armata, che tuttavia ha una forza incomparabilmente minore di quella condotta dai curdi di Turchia.

 

Vale la pena di osservare che queste formazioni hanno delle basi in esilio nel territorio del Krg, il Governo Regionale Curdo (iracheno), e che contro di loro l’Iran conduce attacchi militari oltre confine, come fa la Turchia con le basi del Pkk. Come ho ricordato più volte, i due partiti maggiori del Krg, il Pdk di Erbil e Dohuk e il Puk di Suleimaniyah e Kirkuk, sono legati rispettivamente alla Turchia e all’Iran, e questo influenza largamente il loro atteggiamento nei confronti dei “confratelli” curdi. Il Pdk è nemico del Pkk e protegge i partiti curdo-iraniani, e il Puk fa l’opposto. Questo il contesto. In Iran le elezioni presidenziali sono fissate al prossimo 19 maggio. Rouhani ha visitato sabato il capoluogo curdo-iraniano Sanandaj, ha inaugurato un ingente impianto petrolifero, impianti industriali e il progetto di due dighe, nell’intento palese di guadagnare l’appoggio elettorale locale. Impresa difficile, perché i curdi, che nella scorsa elezione per lo più non votarono diffidando di tutti i candidati, non sono stati contenti del governo “riformista” di Rouhani – il cui principale rivale è ora, per grottesco che sembri, il redivivo Ahmadinejad. Il piatto forte della visita curda di Rouhani era un altro, e questa è la notizia che m’importa. E’ in costruzione, ha detto il presidente, una ferrovia destinata a collegare l’Iran al mare Mediterraneo, attraversando il Kurdistan iracheno e la Siria, fino alla costa mediterranea siriana. Per ora, il tratto in costruzione va da Teheran a Sanandaj. La mia attenzione è stata eccitata dalla memoria di letture sul ruolo strategico che le costruzioni ferroviarie e le rivalità sulle concessioni ferroviarie ebbero nel passato coloniale del Vicino Oriente, accanto o in concorrenza con gli oleodotti. Una ferrovia da Teheran al Mediterraneo siriano avrebbe un’importanza geopolitica, e non solo economica, enorme, e a farne le spese sarebbe la Turchia, che è, con l’Arabia Saudita, nemica giurata dell’Iran.

 

La Siria ha una costa di soli 180 chilometri fra Turchia e Libano, sulla quale si affacciano i porti come Tartus, base navale russa, e Latakia, dove i russi hanno una base aerea e missilistica. Sulla lunga striscia di confine di terra fra Siria e Turchia, oltre 900 chilometri, si è compiuta, nella guerra civile siriana e nella guerra contro l’Isis, l’avanzata dei curdi siriani, tesa a occupare i territori che ne interrompono la continuità geografica. Così, la promessa ferroviaria di Rouhani, che allude alla più pacifica delle infrastrutture, sembra voler suturare un territorio enorme che tocchi il Caspio e il Golfo Persico fino al Mediterraneo, col più impressionante monumento pratico all’alleanza saldata a difesa di Bashar al Assad dalla Russia di Putin con l’Iran sciita (e gli Hezbollah libanesi e l’Iraq sciita). Forse è solo una promessa elettorale, non ne so abbastanza per valutare: ma ad Ankara deve suonare come una minaccia mortale. Non deve avere un bel suono nemmeno a Gerusalemme. E a Washington? Qui, c’è una domanda che, senza l’elezione di Trump, sarebbe sembrata assurda: può arrivare una guerra fra Stati Uniti e Iran? Ora però Trump è stato eletto.

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