Soldati curdi (foto LaPresse)

Il festival letterario nel Kurdistan iracheno

Adriano Sofri

A Suleymanyah, preziosa città del Kurdistan cosiddetto iracheno, è in corso un festival letterario della durata di quattro giorni, dedicato ogni anno a una nazione la cui storia sia collegata alla storia curda. Quest’anno il festival, “Galawezh”, è dedicato all’Armenia, e in particolare alla letteratura armena scaturita dal genocidio. I curdi ebbero un ruolo spaventoso nella persecuzione degli armeni agli ordini dell’impero ottomano, sia nella “colonizzazione” di territori dai quali gli armeni erano cacciati, sia e soprattutto nella deportazione e nella sequela di massacri, che coprirono un lungo periodo, dalla fine dell’Ottocento al 1915-18, in luoghi che oggi sono tornati al centro delle cronache, Aleppo, Diyarbakir, Mosul, Deir el-Zor… I responsabili curdi sono più disposti dei governanti turchi a riconoscere le proprie responsabilità nel genocidio armeno, sia pure evocando per lo più l’attenuante dell’obbedienza e della manipolazione da parte turca. Oggi preferiscono sottolineare un parallelismo e una fraternità, fra lo sterminio armeno, che aprì la storia dei genocidi contemporanei e offrì loro un modello d’ispirazione, e quello patito dai curdi iracheni per mano di Saddam Hussein nella cosiddetta operazione Anfal, condotta fra il 1986 e il 1989, costata fra i 50 mila e i 180 mila morti civili e la distruzione di migliaia di villaggi storici. Del resto all’indomani della prima guerra il trattato di Sévres, 1920, aveva assicurato, pur rinviandone le modalità, una indipendenza sia agli armeni, nel Caucaso e a Trebisonda, Erzurum e Van, che ai curdi, cancellandola poi col trattato di Losanna appena tre anni dopo. In questo vicino oriente la storia somiglia a una giostra feroce.

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