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Colpo di scena

Umberto Silva

I soliti pregiudizi sulle cene di Natale che sistematicamente svaniscono ogni anno

Non Dio nasce la notte di Natale, Lui è sempre vivo, siamo noi, gli sprezzanti, a poter cogliere l’occasione. Mi stendo sul lettino. Ogni anno ho i miei pregiudizi nello sbarcare a una cena di Natale, temo di annoiarmi a morte, peggio, d’incontrare esseri che invano tentano di farsi umani; e così, uscendo di casa, sfoggio la faccia dell’assassino, suscitando l’ira di mia moglie e di mia figlia. Poi tutto svanisce. Appena entrato nell’ospitale dimora una gentile signora mi getta le braccia al collo e mi bacia sulle guance chiamandomi per nome, mentre mia moglie, vedendomi perplesso, scandisce il nome della donna, nome che peraltro continua a non dirmi niente. “Sono la sposa di Enrico”, lei mi sussurra, “ci siamo incontrati cinque anni fa al matrimonio”. Mi pare di ricordare qualcosa e sorrido, grazie a quel sorriso divento prigioniero del Natale, probabilmente quella donna è un angelo cui è stato ordinato di fare luce. Nella simpatica casa di gente che lavora ecco spuntare altre donne e uomini che mi abbracciano e baciano, e che via via mi pare di riconoscere, quanto mai affettuosi. La serata fu splendida. I baci mi attraevano fraterni, ricambiai con slancio anche quelli di un tipo barbuto abitante di chissà quale lontana città. Stavano tutti parlando di qualcosa di cui non capivo bene il discorso, ma lo conducevano in modo molto dolce e suadente che anch’io ci entrai, pur non capendo di cosa di preciso si stesse parlando tutti annuivamo felici.

Il pranzo peraltro era squisito, e nonostante la sobrietà che mi ero prefisso mangiai di gusto pur senza eccedere. E i bambini! Dopo la nascita di mia figlia mi erano sembrati tutti, al suo cospetto, piccoli mostriciattoli, quando improvvisamente vidi i sei bambini del gruppo che scherzavano tra di loro e con i grandi in modo così delizioso che non riuscii a staccare il mio sguardo; li raggiunsi e presi a giocare in modo del tutto indiavolato. Ero tra loro, i bimbi, uno di loro, mi sembravano delle piccole divinità, e che brava gente, pensai, guardando i convitati uno per uno con una dolcezza che mai avrei pensato. Avevo sbagliato una mossa, una bambina mi strinse il naso e mi gridò nell’orecchia: “Ehi, signore, svegliati!”. Intanto un ragazzino stava cantando con John Lennon “A very merry Christmas and a happy New Year”… Ero felice. Conoscendo certe mie ambiguità il lettore si aspetta un violento colpo di scena, ma rimarrà deluso. Fino a un certo punto: in questo racconto il colpo di scena è proprio la mancanza del colpo di scena. Quando la serata volse al termine, nuovamente ci abbracciammo e baciammo, ripromettendoci d’incontrarci il prossimo Natale; e capii che davvero lo speravano, perché quando cominciai a camminare nella notte sentii il loro dolore, e il mio, che anche in me era sorto il desiderio di rincontrarli, e non avrei sopportato un anno senza questo pensiero. Mia moglie rimase sorpresa di tale mia ansia, e sorrise affettuosa; mia figlia mi guardava sospettosa.

Respiravo felice l’aria fresca, e una musica che da tanto tempo non cantavo mi uscì dalle labbra: “It’s over” di Roy Orbison, lo ricordate? Ma sì, altro che George Michael, Roy è immortale. Agli inizi degli anni Sessanta la cantava anche una ragazza che incitava i giocatori in un club di Gloucester Road. Da Milano ero fuggito a Londra e passavo la notte di Natale con Violet che mi faceva puntare un po’ di quattrini sul tavolo del Black Jack. Anche lei avevo visto tra le signore della casa che mi aveva accolto, e per strada canticchiavo “Your baby doesn’t love you any more”. Chiedetelo a Freud Violet la cantava nella sua stanza scalcinata sotto il club, facevamo l’amore e poi fingeva di dormire e mi rubava i soldi rimasti. Guardarla rovistare nelle mie tasche era delizioso. “Golden days before they end”, il perché bisognerebbe chiederlo a Freud, io so solo che sono contento di avere ritrovato Violet. “Whisper secrets to the wind, Your baby won’t be near you anymore”. La canzone finiva con ben tre “It’s over”. Se qualche giovane psicoanalista desidera interpretarla, si accomodi. A me basta che la ragazza se ne stia al caldo freddo di quella stanzetta di Gloucester Road, tra i miei pensieri, tra i miei Natali. 

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