Papa Francesco (foto LaPresse)

Per Papa Francesco Milano non è vera “periferia”. Ma è terra di missione

Maurizio Crippa

La “sveglia” simbolica che il Pontefice intende dare alla città riguarda quelle situazioni di sofferenza, che nella sua visione sono il primo criterio per valutare lo stato di salute di una società

La notiziola che Papa Francesco potrà fare, se si sentirà stanco, un riposino nel carcere di San Vittore, dopo aver pranzato con i detenuti (non in una cella, no: nell’ufficio del cappellano vicino alla Rotonda) era ghiotta e ha fatto in fretta il giro del web. Del resto dice molto dello stile di Jorge Mario Bergoglio, che sabato sarà in visita pastorale a Milano, e del suo modo senza stress di intendere la sua missione (“dormo come un legno”), che somiglia molto al sonno fiducioso del San Giuseppe che dorme, ma intanto provvede: la ormai celebre statuetta votiva che tiene accanto al letto. Ma la lunga sosta (oltre tre ore in un programma fittissimo fino all’acrobatico) dice qualcosa anche del significato che Francesco attribuisce alla visita, di quel che pensa della città e del suo rapporto con la capitale economica del nostro paese. Milano, a rifletterci un attimo, non è il tipo di “periferia” che Bergoglio predilige visitare. E’ una città mediamente ricca, proiettata in quel futuro fatto di finanza globalizzazione e lavoro mobile (e anche precario, sì) che spesso ha stigmatizzato, anche di recente. E’ una città che sente di star bene, che ha un sistema di welfare imperfetto ma migliore che altrove, che ha il più alto tasso di single e il più basso di matrimoni. Una città con una presenza di stranieri – non solo poveri – alta per la media nazionale, e in cui la centralità spirituale, sociale e persino politica della Chiesa di Ambrogio e Carlo sì è affievolita, negli ultimi decenni.

 

Così la Milano che conta, la Milano che produce, la Milano post moderna attende un po’ distratta il Papa. Con l’impressione sottopelle di non aver molto da dire, o da ascoltare. Non che lo stile callejero di Bergoglio abbia fatto molto per richiamare l’attenzione. A parte gli incontri ecclesiali e la grande Messa al Parco di Monza, della metropoli ha deciso di visitare tre famiglie (una musulmana) particolarmente disagiate alle Case Bianche di via Salomone, luogo di degrado, “scarto”, ampia presenza di abusivismo e criminalità. E poi il carcere, ma non l’eccellenza di Bollate, non il funzionale Opera: proprio San Vittore. Incontrerà Beppe Sala e Roberto Maroni a Linate, a Monza saluterà il sindaco Roberto Scanagatti (Pd, uscente). Nient’altro o quasi di istituzionale. Non incontrerà la Milano produttiva, del resto non si era filato quasi per niente neppure l’Expo, non il mondo del lavoro. Per quanto la Cgil, fatto inedito, abbia deciso di accoglierlo volantinando – ma non presso le chiese – una lettera inviata al Papa in cui si valorizzano le sue prese di posizioni gauchiste in materia di lavoro.

 

Ci ha pensato l’arcivescovo Angelo Scola a segnalare il positivo, parlando a Tv2000: “Milano è indiscutibilmente in un momento di rinascita, anche dal punto di vista artistico”. E “sta tornando la grande tradizione milanese: ‘Milano con il cuore in mano’. Sta crescendo qualcosa soprattutto nelle parrocchie, nelle associazioni e nei movimenti che sta rendendo attuale in una forma nuova questa attitudine che è propria della ‘Milano città di mezzo’… Mi sembra che stia maturando un’ attitudine molto significativa a capire che siamo in una società plurale ma con un grande desiderio di confronto con l’altro”. E poi, al Corriere: “Un Papa con questo stile è stato un salutare colpo allo stomaco che lo Spirito Santo ci ha assestato per svegliarci”.

 

La “sveglia” simbolica che Francesco intende dare alla città riguarda per l’appunto quelle situazioni di non-eccellenza, anzi di sofferenza, che nella sua visione sono il primo criterio per valutare lo stato di salute di una società. Una visione che, al di là dei benvenuto formali e cordiali e di qualche eccesso di retorica, può stridere un poco con ciò che Milano pensa, oggi, di se stessa. Ma la Milano che Francesco viene a incontrare è soprattutto la sua chiesa. Dove la vivacità di parrocchie, istituzioni caritatevoli e movimenti è alta, la percentuale dei praticanti in caduta quasi libera. “E’ finita la ritirata del cattolicesimo nella società?”, ha chiesto il Corriere a Scola. “E’ finita, anche se diventa più difficile aiutarci a quella che il Papa chiama “la chiesa in uscita”. Citando il Vangelo ho detto: ‘Il campo è il mondo’”. Anche il cardinale è in uscita, come si sa. I rumors sul suo successore sono per ora solo rumors, deciderà Francesco. L’indicazione sul tipo di chiesa ambrosiana che vuole verrà a darlo di persona. Sulla persona, forse bastano le parole di  Scola: “Serve un pastore che favorisca il più possibile il processo di semplificazione che è già in atto”. Milano non è una periferia, però è una terra di missione.

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"