Foto LaPresse

La guerra della Somalia ci riguarda tutti

Redazione

Al Shabaab attacca perché sotto pressione. Non è il momento di mollare

E’stato il più sanguinoso attacco in Somalia da anni, quello avvenuto sabato scorso nel centro di Mogadiscio. Due camion bomba sono saltati in aria, uno davanti al Safari Hotel, che è stato completamente sventrato, l’altro in un incrocio vicino, e sono esplosi a pochi minuti di distanza l’uno dall’altro. Secondo le autorità, ci sarebbero oltre 300 morti. Il gruppo terroristico al Shabaab finora non ha rivendicato ufficialmente l’attacco, ma secondo diversi analisti non ci sarebbero molti dubbi sulla responsabilità dell’attentato, anche vista la capacità di detonazione che farebbe pensare a un aiuto esterno, per esempio da parte di al Qaida (a cui al Shabaab è affiliata sin dal 2009).

 

Come ha scritto lunedì il New York Times, il gruppo terroristico somalo negli ultimi anni ha perso molto terreno: tra il 2011 e il 2012 i soldati dell’Unione africana e le azioni militari americane hanno progressivamente tolto dal controllo dei jihadisti vaste zone del centro e del sud della Somalia. Non solo: sin dall’inizio del suo mandato, il presidente americano Donald Trump ha eliminato alcuni vincoli alle operazioni con i droni, rendendo più facili le azioni delle Forze armate americane in Africa. Gli attacchi statunitensi si sono intensificati. L’attentato terroristico di sabato a Mogadiscio sarebbe da interpretare, dunque, come una rappresaglia, in un momento in cui al Shabaab si sente sotto pressione. E’ la pericolosità di tutti i gruppi terroristici: quando la nostra guerra contro l’estremismo inizia a fare dei progressi, la reazione può essere sanguinosa. Fare un passo indietro, a questo punto, potrebbe voler dire perdere la guerra.

Di più su questi argomenti: