Al bando l'amico di Israele

Da Adonis a Sansal, quegli scrittori mediorientali che hanno osato incontrare esponenti dello stato ebraico. Ecco il prezzo per aver violato il grande tabù

Giulio Meotti

Roma. Amin Maalouf, che ha il passaporto libanese e francese, non aveva trovato nulla di strano nel rilasciare una intervista al canale israeliano i24. Forse pensava che il fatto di aver vinto un Goncourt (il maggior premio letterario francese), di aver ricevuto la Legione d’onore, di essere uno degli “Immortali” dell’Accademia di Francia, lo avrebbe protetto. Ovviamente la testa di Maalouf ha cominciato a rotolare subito dopo l’intervista: richieste di privarlo della cittadinanza libanese, di metterlo a processo, di fargli la pelle. “Leo l’israeliano”, è stato ribattezzato il grande scrittore, scimmiottando un protagonista dei suoi romanzi. Il regista libanese Ziad Doueiri ha fatto qualcosa di peggio: girare alcune scene di una sua pellicola in territorio israeliano. Così tre giorni fa la polizia libanese lo ha atteso all’aeroporto di Beirut di ritorno dalla mostra del cinema di Venezia. Doueiri è stato arrestato e interrogato dal tribunale militare, accusato di “collaborazionismo con Israele”.

 

Eccola, mezzo secolo dopo la guerra del 1967, l’accusa ancora più infamante per un artista e scrittore mediorientale. Boualem Sansal, il grande scrittore algerino di “2084”, avrebbe dovuto ricevere il Prix du Roman Arabe, il premio al maggiore romanzo arabo in Francia, per il libro “Rue Darwin”, edito da Gallimard. Ma la giuria ha annullato il riconoscimento. Motivo? Un viaggio di Sansal a Gerusalemme, per partecipare al festival letterario di Mishkenot Shaananim. I ventidue ambasciatori nella commissione del premio hanno sospeso il riconoscimento. Due anni prima c’era stato un caso simile ma ancora più scandaloso, quando a due scrittori arabo-israeliani, Ala Hlehel e Adania Shibli, tradotti anche in italiano e che dovevano partecipare al Festival della letteratura di Beirut, finanziato dall’Unesco, il Libano ha impedito di atterrare in quanto “israeliani”. Per aver visitato Israele, il grande scrittore egiziano Ali Salem ha visto la propria carriera distrutta per sempre. Era il 1994, quando a pochi mesi dalla firma degli Accordi di Oslo, il celebre scrittore satirico egiziano scelse di entrare in Israele. “Non un viaggio d’amore, ma un tentativo di sradicare l’odio”, dirà in seguito. Ne nacque un libro, “My drive to Israel”. Prima l’associazione egiziana dei cineasti e poi quella degli scrittori cacciano Salem per aver visitato Israele. I teatri vietano le sue pièce, come successe in Unione sovietica a Michail Bulgakov, l’autore del “Maestro e Margherita”. E l’ostracismo colpì anche l’unico difensore di Salem, il Nobel per la Letteratura Naguib Mahfouz, perseguitato dai fondamentalisti islamici, che non gli hanno mai perdonato le pagine “irriverenti” e lo “spirito laico”, ma soprattutto l’appoggio che Mahfouz fornì al presidente Sadat per la firma del trattato di pace di Camp David con Israele. Per questo nel 1979 i paesi arabi presero a boicottare i libri di Mahfouz. Il grande scrittore ebbe anche numerosi rapporti con l’intellighenzia israeliana, come il professor Sasson Somekh della Tel Aviv University, che lo introdusse alle opere di S. Y. Agnon.

 

Il più noto blogger iraniano, Hossein Derakhshan, è finito nel carcere a Evin accusato di “spionaggio a favore di Israele”. La sua colpa? Una visita in Israele, per “mostrare la vita quotidiana del popolo ebraico” e smascherare i pregiudizi antisemiti. “Ho intenzione di mostrare agli israeliani che la vasta maggioranza degli iraniani non si identifica con la retorica di Ahmadinejad”, disse. Il boicottaggio ha colpito anche un altro scrittore algerino, Yasmina Khadra, reo di favorire la normalizzazione con lo stato ebraico. La Lega Araba ha chiesto ai 22 membri di boicottare “The attack”, il suo libro forse più celebre. “Mentre la Siria sprofonda nelle fiamme, l’Iraq soffre di innumerevoli attacchi suicidi, e la Libia sta affondando, la Lega araba se la prende con un artista”, ha detto Khadra al Times of Israel. “Non è forse il culmine dell’oscenità?”. Anche il poeta più famoso del mondo arabo, il siriano Adonis, è stato espulso dall’Unione degli scrittori arabi per essersi incontrato con gli israeliani a Granada a margine di una conferenza dell’Unesco. Ad altri scrittori a favore della normalizzazione dei rapporti con Israele è andata peggio. Nel 1992 il più importante giornalista liberale d’Egitto, Farag Foda, venne pugnalato a morte, accusato di “apostasia” e di essere a favore dei rapporti diplomatici con Israele.

 

Sono trascorsi cinquant’anni da quando questi paesi arabi furono umiliati da Israele nella Guerra dei sei giorni. Con molti di quei regimi, dalla Giordania all’Egitto, lo stato ebraico ha oggi rapporti diplomatici. Ufficiali sauditi discutono con i colleghi israeliani di sicurezza nella regione. Ma resta il grande tabù degli scambi culturali con gli odiati “sionisti”. Come se questi regimi arabo-islamici fossero terrorizzati dall’unicità di Israele, una goccia con i suoi ventimila chilometri quadrati rispetto ai tredici milioni dei paesi arabo-islamici, e che in una grande mezzaluna che va da Casablanca a Mumbai è l’unico stato libero della regione. Questi scrittori e artisti arabi entrando in Israele hanno dimostrato di essere più liberi e onesti di tanti colleghi europei, che aderiscono al boicottaggio culturale dello stato ebraico.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.