Da sinistra Fayez al Serraj, Emmanuel Macron e il generale Khalifa Haftar (foto LaPresse)

Macron rilancia la Francia e Haftar, ma il risultato del suo summit è scarsino

Arturo Varvelli*

L'Eliseo ottiene il cessate il fuoco tra Tripoli e Bengasi. Italia e Francia hanno due piani complementari. Il nodo politico è irrisolto. Domani Serraj a Roma

Milano. Dopo circa un anno di assenza dal dossier libico, la Francia di Emmanuel Macron ha voluto rilanciare in grande stile il proprio ruolo nella regione. L’incontro a Parigi tra Fayez al Serraj, primo ministro del governo di accordo nazionale a Tripoli, e il generale Khalifa Haftar, leader del Consiglio nazionale di transizione a Bengasi, serviva alla Francia per riposizionarsi come interlocutore centrale nella gestione della pacificazione della Libia. Dal punto di vista sostanziale, il risultato non è affatto straordinario. La promessa di un cessate il fuoco tra due componenti che, peraltro, da tempo non hanno più scontri non sembra risolvere alcuno dei nodi politici fondamentali del paese. Ma per il rilancio francese, il vertice è stato più che utile: sancisce di fronte alla comunità internazionale che gli interessi francesi vanno tenuti presenti. Ribadisce anche che Haftar, ricevuto per la prima volta in una capitale europea, gode ancora dei favori di Parigi e che è un punto fondamentale sul quale ricostruire gli equilibri del paese. Costituisce inoltre una bella vetrina per Macron che gli preserva quell’allure internazionale di mediatore che va cercando.

 

Circa un anno fa tre uomini delle forze speciali francesi venivano uccisi in Libia mentre fornivano sostegno a Haftar. L’abbattimento dell’elicottero nei pressi di Bengasi costringeva Parigi ad ammettere la propria presenza francese nel paese nordafricano. L’allora ministro della Difesa Jean-Yves Le Drian, ora agli Esteri, spiegò che i tre erano impegnati in operazioni di intelligence, ma l’allora presidente François Hollande decise di sospendere ogni iniziativa relativa alla Libia. Fu uno smacco politico importante: la Francia firmava i comunicati congiunti con i partner occidentali a favore di Serraj, ma dietro le quinte sosteneva Haftar nell’est del paese dove la Total ha la maggior parte dei propri investimenti. Cambiato dicastero Le Drian ha prontamente vantato il credito nei confronti di Haftar.

 

Macron si era già smarcato dall’intervento del 2011 voluto dall’ex presidente Nicolas Sarkozy: inopportuno, lo aveva definito. La convocazione a Parigi di Serraj e del suo rivale è avvenuta senza una vera interlocuzione e preparazione con gli altri attori internazionali, se non con un preventivo raccordo con la Gran Bretagna. Ma la linea politica di Macron è consequenziale a quella uscita dall’incontro del 2 maggio ad Abu Dhabi. Non c’era stata una dichiarazione ufficiale ma i contenuti erano noti, e ricalcano la dichiarazione di Parigi. Allora come oggi restano le incognite su nodi fondamentali: la prevalenza della leadership politica o di quella militare, la forma statuale, la revisione del processo di dialogo, la definizione di alcune formazioni di miliziani come gruppi terroristici e lo scioglimento e l’integrazione delle milizie nell’esercito (sotto il controllo di Haftar?).

 

Così l’azione diplomatica di Macron contribuisce a reiterare il risultato di un gioco a “somma zero”, che è il frutto delle interferenze delle potenze esterne, ognuna pronta ad appoggiare una parte a discapito dell’altra nell’illusione di creare una Libia più vicina ai propri interessi. Non è un caso che domani il premier italiano veda Serraj per bilanciare la spinta di Macron, che oggi ha ringraziato Paolo Gentiloni per aver “lavorato molto bene” sulla Libia. I piani di Italia e Francia possono essere complementari ma è difficile pensare che i recenti viaggi nel sud della Libia del ministro dell’Interno Minniti e il continuo evidenziare che i flussi migratori che arrivano in Libia passino dal Niger (e dovrebbe farsene carico Parigi) siano così graditi. La Francia considera il Fezzan nella propria sfera di influenza, essendo affine a quel mondo saheliano nel quale Macron ha compiuto il primo viaggio all’estero. Intanto la Libia è ancora lì, con problemi difficilmente risolvibili da un vertice apparecchiato in fretta dalla diplomazia di Le Drian e Macron.

 

*Senior Research Fellow dell’Ispi