Jeremy Corbyn (foto LaPresse)

Domani inglesi al voto

Così Corbyn s'è trovato apparecchiata una rimonta improbabile

Paola Peduzzi

Il premier May si trova sulla difensiva tra critiche sull'austerità e sulla (poca) sicurezza. Il Labour approfitta di quattro errori altrui

Milano. Jeremy Corbyn, leader del Labour inglese, approfitta di tutto, a testa bassa verso il voto di domani, stringendo mani e concedendo sorrisi, con la speranza di una gran sorpresa finale. Sadiq Khan, sindaco laburista di Londra, guerreggia a distanza con il presidente americano, ottiene l’applauso di una lega anti trumpiana globale sempre più ampia, critica il premier inglese, Theresa May, sui tagli alle forze di polizia e sul suo invito sciagurato a Trump nel Regno Unito – e arricchisce l’arsenale di argomentazioni politiche per Corbyn, che se ne approfitta (e i due laburisti non si sono nemmeno mai piaciuti). La May si mette sulla difensiva, spiega come sono andati i tagli negli ultimi anni, ma ormai l’equazione austerità = minore sicurezza è passata – e Corbyn ancora ne approfitta. I sondaggi mostrano tutte le difficoltà dei conservatori al governo, che nelle ultime settimane hanno perso gran parte dello straordinario vantaggio degli inizi, e anche se molti commentatori puntigliosi dicono che comunque il Labour non vincerà, Corbyn se ne approfitta, e dice trumpianamente che a fidarsi degli esperti si perde sempre.

 

Non si ricordano grandi proposte del leader laburista, se non un gigantesco programma tax-and-spend prevedibile, ma le debolezze degli altri, la crisi nella sicurezza con due attentati nel giro di pochi giorni, hanno apparecchiato la rimonta corbyniana, che forse non gli basterà per diventare premier, ma certo ha diminuito le possibilità di una rimozione, dopo le elezioni, dalla leadership del partito. Anche saper cogliere le opportunità create accidentalmente dagli altri è un’arte politica, e il Financial Times, raccontando “l’improbabile” ascesa di Corbyn, la mette nell’elenco.

 

Non ci sono soltanto gli errori altrui ad aumentare le chance di Corbyn, ma anche l’ondata internazionale radicalizzante che non è stata determinante nelle urne ma ha creato grande mobilitazione: il leader laburista viene citato assieme all’americano Bernie Sanders, al francese Jean-Luc Mélenchon, capelli grigi e look d’altri tempi che hanno riacceso ardore politico soprattutto tra i più giovani. Dal 2015, da quando Corbyn è capo del Labour, sono raddoppiati gli iscritti e quella sua aria da uno che è arrivato per caso (fu scelto dalla sinistra radicale dopo che altri tre avevano detto di no) e che si prende quasi con dolore la responsabilità di una missione tanto importante ancorché faticosa (dicono che lui non abbia così voglia di fare il premier, si presta per senso del dovere) hanno contribuito a creare il mito della purezza ideologica del leader. In realtà i retroscenisti raccontano di metodi dittatoriali di salvaguardia di un potere da sempre pericolante, ma si sa che, quando le campagne elettorali sono verso la fine, conta soltanto la percezione. Theresa May paga la sua eccessiva baldanza nell’aver affrontato il voto come fosse una notifica mondiale dei superpoteri – ricordate quando nel 2010 i Tory brindarono con mesi di anticipo alla vittoria e poi furono costretti a fare un governo con i Lib-dems? Ecco, il vizio è lo stesso – ma anche un conflitto ideologico più profondo e più problematico. Se i populisti di destra con le loro istanze di nazionalismo estremo paiono al momento disinnescati, la cultura anti austerità e anti diseguaglianza è radicata e vivissima. Se si pensa che la stessa May, voltando le spalle alla tradizione liberale del suo partito, ha colorato di rosso le proposte programmatiche per corteggiare l’elettorato laburista, è chiaro come Corbyn ora possa approfittare maggiormente della sua coerente purezza. Gli altri arrivano qui per opportunismo politico, io ci sono sempre stato, dice Corbyn, e pazienza se a scandire questa coerenza sono stati anche 56 voti contro le leggi antiterrorismo dal 2001 al 2010, con buona pace per la sicurezza, nonché una campagna contro l’intervento militare in Siria contro il regime di Assad, con altra buona pace per la sicurezza (e martedì su un palco laburista a Bristol c’era un cartellone della May con un orecchino disegnato con la stella di David).

 

I sostenitori internazionali di Corbyn, questi dell’ultima ora in particolare, come l’ineffabile Lena Dunham in diretta Instagram dall’emirato trumpiano, pensano che il loro leader possa salvare il Regno Unito dalla Brexit, pensano che questo Labour sia l’antidoto europeista alla May, e sbagliando alimentano una rimonta che avrà molto peso nel determinare il futuro del partito. I moderati liberali ed europeisti, nel mondo anglosassone, stanno soffrendo molto.

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi