James Comey (foto LaPresse)

Il fantasma di Nixon

Trump passa alla fase di contenimento sulla cacciata sospetta di Comey

Si moltiplicano i leak sull'inchiesta russa. Il tempismo surreale degli incontri con Kissinger e Lavrov

New York. La prima conseguenza prevedibile del fulminante licenziamento di James Comey era lo scatenarsi di una pioggia di leak dai ranghi del bureau fedeli al direttore cacciato ex abrupto da Donald Trump. L’attesa è stata brevissima. Mercoledì il New York Times ha scritto che pochi giorni prima di essere licenziato, Comey ha chiesto al dipartimento di Giustizia più risorse per allargare il raggio dell’inchiesta sui legami fra la campagna elettorale di Trump e il Cremlino. Secondo le fonti del quotidiano, Comey ha chiesto lo stanziamento di nuovi fondi in un incontro con il numero due del dipartimento di Giustizia, Rod Rosenstein, lo stesso che ha passato i suoi primi 14 giorni nel ruolo a preparare il memorandum con cui l’Amministrazione ha giustificato il licenziamento. Una portavoce del dipartimento ha smentito la notizia: “Totalmente falsa”.

 

Poche ore dopo la comunicazione della cacciata, avvenuta nel modo più scoordinato e frettoloso, la Cnn aveva scritto di mandati di perquisizione emessi verso affiliati di Michael Flynn, l’ex consigliere per la sicurezza nazionale che è al centro dell’inchiesta avviata da Comey sui contatti con la Russia. Un altro indizio, arrivato da fonti anonime, che l’indagine stava allargando e approfondendo, cosa che rende ancora più sospetto il tempismo della decisione di Trump. Formalmente, tuttavia, Comey è stato licenziato per il modo in cui ha gestito la famosa inchiesta sulle email di Hillary Clinton, cosa che secondo il ragionamento della Casa Bianca avrebbe dovuto mettere a tacere le critiche dei democratici, ancora furibondi per come ha fatto naufragare la candidatura di Hillary. L’ombra dell’inchiesta russa ha cambiato inevitabilmente l’equazione politica.

 

Il capo dei senatori democratici, Chuck Schumer, ha chiesto mercoledì la nomina di un procuratore speciale che prenda in carico l’inchiesta, cosa per il momento negata dal leader della maggioranza repubblicana, Mitch McConnell. Diversi repubblicani sono nell’imbarazzante posizione di dover difendere una decisione che considerano giusta ma mossa dalle ragioni sbagliate. Martedì Comey testimonierà davanti alla Commissione intelligence del Senato. Il rovesciamento delle parti e la confusione generale si è vista nel programma di Stephen Colbert, registrato pochi minuti dopo il licenziamento. Il pubblico a maggioranza liberal ha applaudito di cuore quando il conduttore ha dato la notizia, e in effetti Comey fino a poco tempo fa era un avversario. Al conduttore è toccato spiegare che ora è un amico.

 

“Comey ha perso la fiducia di quasi tutti a Washington, repubblicani e democratici. Quando le cose si calmeranno, mi ringrazieranno”, ha twittato Trump, che poi ha offerto una sintesi ancora più stringata del motivo del licenziamento: “Non stava facendo un buon lavoro”. Lo ha detto durante una photo opportunity con Henry Kissinger, uno dei vari momenti surreali in una giornata in cui l’America agita il fantasma di Nixon. Non c’è stato bisogno invece di agitare il fantasma russo. Si è materializzato con il ministro degli esteri , Sergei Lavrov, che accanto al segretario di stato, Rex Tillerson, ha fatto perfino del sarcasmo su Comey: “L’hanno licenziato? Incredibile”. Del resto, la serata di martedì si era chiusa con il portavoce di Trump, un evidentemente confuso Sean Spicer, che si nasconde dai cronisti dietro ai cespugli della Casa Bianca.

 

Un’altra conseguenza della decisione di Trump è quello che gli esperti di comunicazione chiamano “effetto Streisand”, da un vecchio caso che coinvolgeva Barbra Streisand: il tentativo di nascondere un’informazione la rende più visibile. Invece di mettere sotto il tappeto l’inchiesta russa, il licenziamento di Comey la riporta sotto i riflettori, incoraggiando l’uscita di nuovi dettagli sul caso e facendo pressione per la revisione di quelli già noti. Non ci sono per ora i margini per parlare di una crisi costituzionale – Trump non ha agito fuori dai suoi poteri, con ragioni formali valide – ma è in quella direzione che si sta andando.

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