Donald Trump (foto LaPresse)

Trump non sa che fare, sembra un supereroe della tv da reality show

Giuliano Ferrara

Il presidente è confuso e conferma di essere un pericolo per la pace, per la leggibilità della politica e per la decenza dell’America

Dire che Trump è pazzo è catastrofico, peggio, è psichiatrico. Evitiamo. Dire che è imprevedibile è già più politico. Ma imprevedibile può alludere a una astuta e talvolta anche prudente, virtuosa capacità di cambiare direzione di marcia quando è in ballo roba forte, e di cambiare senza che l’avversario o l’alleato siano in grado di predeterminare la nuova rotta; oppure, ed è un’opposizione logica e concettuale disarmante, allarmante, imprevedibile può significare che il soggetto politico in questione, praticamente un Re o il Re del mondo, non sa che cosa fare o fa solo quello che gli detta la deontologia demagogica del suo vero status culturale personale, quello di supereroe della tv del reality show. Circondato da una famigliola di cortigiani stranamente assortita, che fanno da schermo, nei casi buoni da filtro, tra lui e l’Amministrazione che dovrebbe essere (Pentagono, National Security Council, dipartimento di stato) a prova di imprevedibilità (secondo senso del termine), Trump si comporta indubitabilmente in un modo molto confuso. D’altra parte è un istrione narcisista che alla domanda sulla politica estera e di difesa ha sempre pazzoticamente risposto: “Ma vuole che lo venga a dire a lei? Queste cose le tengo nascoste, le tiro fuori al momento buono!”.

 

Vorrei condividere l’ottimismo ilare di Michele Serra, che vede in Trump e Kim una coppia comica del postmoderno, ma non ce la faccio: ho ancora abbastanza considerazione per la politica, se non più amore e passione, per essere allarmato e preoccupato, il divertimento viene un momento dopo, al momento buono per dirla con l’impostore. Tra un muro finto e una portaerei vera, l’armada con i sottomarini atomici a cui il Potus allude nei suoi momenti di stanchezza o di vivacità tuittarola, corre una certa differenza. Una volta John Bolton, eroe serio e cattivo della cricca dei neoconservatori, nel rispondere a un giornalista o a un diplomatico (non ricordo) sulla politica americana verso la Corea del nord, si alzò, andò presso uno scaffale e tirò fuori un libro per mostrarglielo. “The End of North Corea” era il titolo. Ma tra spostare un libro in privato, mantenendo la capacità pubblica di tenere il discorso politico e diplomatico, e spostare una flotta, anche qui corre una certa differenza. Per essere chiari. Quello che Trump si è scelto come portavoce ha l’altro ieri detto che “nemmeno Hitler ha usato il gas”. 

 

Considerando Auschwitz-Birkenau e le camere e il Zyklon-B , dovremmo concludere che Spicer, lo spokesman, è pazzo e un altro pazzo lo ha messo in quel posto. Ma è solo un idiota preso da eccesso di zelo anti Assad due giorni dopo aver comunicato che Assad andava benone alla Casa Bianca, e anche per idiota vale la distinzione tra un inabile intellettuale grave e un cretino di morbida entità, uno che per scusarsi di questa che non si può nemmeno chiamare gaffe, è solo un’enormità patetica, ha chiamato Sheldon Adelson, cioè un signore molto ricco che prende i soldi dalla cagnotte dei suoi casinò e li mette al servizio delle campagne di Trump. Va bene. Ora, non si può dire: vediamo come va a finire tra Rex Tillerson, messo lì perché nel 2013 Putin gli diede la medaglia dell’amicizia quando era un manager della ExxonMobil, e il Cremlino. Non lo si può dire perché all’incontro si arriva nel più imprevedibile dei modi, in una logica di sospetti, di colpi di scena a favore di telecamera, di segnali e controsegnali che fanno dire al professionista ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov: “Vorremmo capire che idee ha davvero l’Amministrazione americana”. E dunque è prevedibile, questo sì, che quale ne sia l’esito, da qualunque parte lo si osservi, l’incontro finisce e non finisce con un risultato diplomatico, perché siamo fuori dalla normale prassi di un conflitto diplomatico, per quanto ad alta tensione. Siamo al casino imprevedibile, una cosa che per definizione non ha fine e non ha forma comprensibile.

 

Stiamo scherzando col fuoco. Obama in Siria fu pessimo, e a dirlo allora fummo in pochi, non eravamo popolari nelle cancellerie ciniche e nel Vaticano orante (con Putin) per la pace siriana e la famosa linea rossa che va da un bombardamento chimico a un altro. Ma una cosa si capiva. Era preoccupato di un lascito di pace, da Nobel. E infatti ha lasciato la guerra più spietata possibile, che in confronto in Iraq Bush e Cheney e Rumsfeld fecero una spedizione di boy scout, ma il suo leading from behind, guidare dalle retrovie, era una linea spiegabile con effetti prevedibili, una malacosa che però aveva dietro Harvard e non “The Apprentice”.

 

La malacosa di adesso è altrettanto pericolosa, sebbene di segno improvvisamente rovesciato. Trump lo chiamo impostore non a caso, è uomo di fiducia, cioè artista melvilliano della truffa, secondo Philip Roth, non a caso. Aveva detto che voleva armare di nucleare Giappone e sud-est asiatico per non essere costretto a inseguire le pazzie di Kim, giacché il suo principio è America First, ma ora dirige la US Navy verso la Corea del nord, che lo aveva preso in parola e ha moltiplicato i lanci nucleari, e minaccia con tono western uno strike di quelli che si ricorderanno a lungo nella storia dell’umanità, un tuìtstrike da paura. Aveva detto che voleva andare d’accordo con Putin, al quale aveva chiesto e ottenuto collaborazione per farsi eleggere e per mandare al potere gente come il generale Michael Flynn, un suo famiglio, e ora vuole il Montenegro nella Nato a partire dal prossimo maggio, che è come mettere uno spillone nel culo del capo del Cremlino. In una situazione del genere sono tutti scombussolati. I trumpettari europei e americani, da Ann Coulter a Madame Le Pen al povero Salvini, sono sbalorditi, loro assadisti convinti, per la svolta diciamo così “umanitaria”. Altri ci vedono raffinata volubilità politica, perché è nella natura umana prestare la massima autorevolezza ai propri pregiudizi, e Trump è un pregiudizio avvolto nell’ideologismo allo stato puro, per quanto postmoderno. Altri ci vedono manovre e manovrette di un uomo disperato perché lo hanno beccato subito, fin dalla transizione, con le mani nel vasetto della marmellata russa, e a questo sta cercando di porre rimedio. Altri sottolineano il buon cuore di Ivanka, che le rendeva insopportabile la vista dei bambini gasati da Assad, questo animale, questo malvagio che il giorno prima andava più che bene. Altri ci vedono banalmente, ma ce lo vedevano da subito, non era poi così difficile, un pericolo per la pace, per la leggibilità della politica e per la decenza dell’America, che si è sottratta a un progetto di imperialismo democratico armato solo per cadere nella fossa velenosa di un nervosismo armato a tendenza narcisista. Quorum ego. Tra questi ci sono anch’io.

Di più su questi argomenti:
  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.