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Fonti vicine al Cremlino ci dicono che Putin ne ha abbastanza di Assad

Riccardo Amati

La Russia potrebbe voler negoziare con gli americani una soluzione per il conflitto siriano che finisca per escludere il dittatore di Damasco da ogni ruolo

Mosca. Vladimir Putin ne ha abbastanza di Bashar el Assad, perché ritiene che abbia superato i limiti entro i quali conveniva sostenerlo, e potrebbe voler negoziare con gli americani una soluzione per il conflitto siriano che finisca per escludere il dittatore di Damasco da ogni ruolo. E’ quanto ritengono consulenti diretti del Cremlino ed esperti del ministero degli Esteri della Federazione russa (Mid). “La Russia – o meglio, il presidente Putin – sembra sempre più stanca della sua dipendenza dai comportamenti di Assad e dell’Iran”, dice al Foglio Aleksandr Shumilov, direttore del Centro analisi conflitti medio oriente dell’Iskran, istituzione governativa incaricata di dar raccomandazioni sulle relazioni con gli Stati Uniti ai responsabili della politica estera di Mosca. “Il presidente capisce bene che quei comportamenti, e quelle azioni, minacciano gli interessi russi ogni giorno in misura maggiore”. Ai vertici del potere “c’è rabbia, nei confronti di Assad, e si è coscienti della necessità di allentare i legami con lui”. Una priorità militare-politica che i russi intendono discutere con gli americani, anche se solo “sotto il tavolo”, spiega Shumilov. Le forze di Damasco e le milizie di Hezbollah, finanziate e armate da Teheran, dopo l’accordo sul cessate il fuoco del 28 dicembre 2016 voluto da Russia e Turchia, hanno dimostrato in tutti i modi possibili di puntare a una piena vittoria militare, non certo a un accordo con le milizie ribelli sconfitte per la suddivisione del potere. E per questo Assad e l’Iran stanno tentando di sabotare il processo di pace di Astana, su cui Mosca ha fatto un forte investimento politico. Sia Putin sia il suo ministro degli Esteri si sono lamentati degli ostacoli posti dai due alleati. Con l’attacco chimico che il 4 aprile scorso ha ucciso oltre 70 persone, tra cui molti bambini, alle porte di Idlib, Assad probabilmente si è giocato l’amicizia della Russia.

 

Al di là delle dichiarazioni ufficiali, a Mosca nessuno dubita che sia stata l’aviazione siriana a sganciare il gas letale sui civili. “Nessuno qui ha mai pensato che la versione della bomba caduta sull’arsenale dei ribelli avesse fondamento”, ci dice una persona che frequenta per lavoro il palazzo staliniano sede del Mid, chiedendo l’anonimato. “Non conosco il dossier”, precisa. “Ma certamente Assad è ormai considerato ‘more of a liability than an asset’”, spiega con il cliché in inglese che in diplomazia si usa quando un alleato diventa un peso. La persona vicina al Mid ritiene “assurda” l’ipotesi che Mosca sapesse dell’attacco chimico in anticipo. I diplomatici russi “sono rimasti esterrefatti e confusi” di fronte alle notizie, alle foto e ai filmati che arrivavano dal sobborgo della città siriana colpito dal gas letale”, ci aveva già detto il 7 aprile Andrey Kortunov, direttore dell’ Istituto affari internazionali, emanazione dello stesso ministero e consulente della presidenza, cioè di Putin.

 

Quando il portavoce di Putin, Dmitri Peskov, dopo i fatti di Idlib disse che il sostegno del Cremlino a Damasco non era “incondizionato”, voleva inviare “un segnale all’occidente della disponibilità a qualche forma di collaborazione” per perseguire i veri responsabili della strage, secondo Kortunov. Mosca ha difeso Assad in modo debole, poco convinto e per niente convincente. Il presidente russo non ha aperto bocca e al suo silenzio corrisponde quello di Donald Trump: la reciprocità di comportamento dei due comandanti non è mai un caso, in politica internazionale.La volontà di non farsi male a vicenda è risultata evidente anche dal fatto che, nemmeno sei ore dopo la sospensione dell’accordo per evitare incidenti tra aerei russi e statunitensi, i russi hanno accettato di mantenere in funzione la hotline, come riferito alla Associated Press. Come dire: l’accordo Mosca lo aveva interrotto sì, ma per finta.

 

Le basi per una trattativa per lo sganciamento della Russia da Assad nel breve termine, e per una soluzione del conflitto che preveda la divisione della Siria in due entità separate, ci sono. Gli Stati Uniti non hanno più opzioni militari valide nei confronti del regime di Damasco, e l’attacco su Shayrat non ha cambiato il teatro di guerra. Quindi gli interessi russi in Siria non sembrano in pericolo. Almeno finora, Trump ritiene prioritaria la disfatta dell’Isis, non la fine della guerra civile, e poi accordi politici che – se implementati dagli americani – potrebbero lasciare Mosca in un angolo. Il presidente russo in questo momento non può però mettersi d’improvviso a fare il paladino contro i crimini di guerra e abbandonare Assad. Sarebbe “un suicidio”, secondo Aleksandr Shumilov. Perché ammetterebbe il “fallimento dell’avventura siriana”, e “spiazzerebbe di colpo” la propaganda interna: su tivù e giornali di stato, Assad qui è una specie di Garibaldi d’Arabia. Per questo ogni trattativa dovrà essere “sotto il tavolo”. Ma siccome dal 2013 il capo del Cremlino è di fatto il garante del disarmo chimico di Damasco, l’attacco è un affronto quasi umiliante. Una via d’uscita per punire Assad senza per ora abbandonarlo e salvando la faccia c’è: per esempio costringendo Assad a lasciare a terra l’aviazione. Con i micidiali sistemi di difesa aerea S-400 che Mosca ha dispiegato in Siria, non sarebbe un problema.

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