George Soros (foto LaPresse)

Perché Soros è il nemico numero uno dei populisti dell'est Europa

Luca Gambardella

L'Ungheria emana una legge contro la Ceu, l'università finanziata dalla Open Society del gigante della finanza mondiale. Ma è solo l'ultimo capitolo di una guerra più ampia lanciata contro le ong filo-americane

Roma. Da qualche mese i governi dell'Europa orientale hanno lanciato un'offensiva contro l'icona della finanza mondiale, George Soros, accusato di sostenere ong e movimenti della società civile che promuovono i valori democratici e l'accoglienza dei rifugiati. L'ultimo capitolo della guerra al fondatore della Open Society – una fondazione filantropica che ha finanziato progetti in tutto il mondo per 12 miliardi di dollari – si è concluso martedì, quando il Parlamento ungherese ha approvato una legge che costringe l'Università dell'Europa centrale (la sigla in inglese, Ceu, è diventata anche un hashtag molto condiviso sui social network in questi giorni) a chiudere i battenti. La Ceu è un istituto privato finanziato soprattutto col denaro di Soros ed è considerato uno dei più prestigiosi d'Europa, nonché l'unico nel paese che rilascia titoli di laurea sia americani sia ungheresi. Ma con 123 voti favorevoli contro 38 il Parlamento ha accolto un emendamento che restringe l'indipendenza dell'istituto vietandogli di rilasciare diplomi validi sia negli Stati Uniti sia in Ungheria, altrimenti l'istituto non potrà aprire le iscrizioni per il prossimo anno accademico. Le varie misure previste dalla norma riguarderebbero in teoria anche altre dozzine di università ma di fatto colpisce solo la Ceu, motivo per cui gli studenti, gli accademici ma anche altre organizzazioni europee e internazionali, accusano il governo di promulgare leggi ad personam che limitano l'indipendenza del settore dell'educazione.

 

Secondo il presidente ungherese Victor Orban, senza la nuova legge si sarebbe mantenuto in vita sistema che avrebbe dato alla Ceu dei privilegi di cui le altre università ungheresi non possono godere (ovvero l'opportunità di ricevere una laurea equiparata a quelle americane). Con il suo consueto refrain populista, Orban ha dichiarato che questa "frode" doveva essere fermata e che "in Ungheria nessuno può essere sopra la legge, anche se sei un miliardario". Sullo sfondo, ci sono le consuete teorie del complotto, della presunta ingerenza americana di stampo imperialista che, secondo i governi sovranisti dei paesi dell'est, mette in pericolo la stabilità sociale e istituzionale. In Ungheria molte ong che ricevono finanziamenti da Soros hanno organizzato diverse manifestazioni per favorire l'accoglienza dei rifugiati, criticando i muri e la politica della porta chiusa favorita dal partito di Orban. "Queste organizzazioni (le ong straniere, ndr) devono essere respinte con ogni mezzo a disposizione", ha detto il mese scorso Szilard Nemeth, vice-presidente di Fidesz, il partito al governo. Le organizzazioni della società civile finanziate in parte dalla Open Society Foundation hanno poco o nulla in comune con l'agenda politica, economica e sociale di Orban: sono anti-Trump, anti-Putin, difendono il pluralismo politico e dell'informazione e protestano contro la corruzione nelle istituzioni. Di contro, il presidente ungherese ha più volte definito l'elezione del nuovo presidente americano "un'opportunità", flirta col Cremlino – da cui trae ispirazione buona parte della sua retorica nazionalista – e ha modificato leggi costituzionali per avere un controllo maggiore sui media e sulla Giustizia. Subito dopo la vittoria di Trump, Fidesz ha rinnovato i suoi attacchi alle ong straniere e ha proposto sia il controllo diretto del governo sui finanziamenti che queste ricevono dalle varie fondazioni, sia di istituire un loro registro che costringe i quadri dirigenti a rendere pubblici i loro redditi personali. Secondo Gergali Gulyas, uno dei vicepresidenti del partito, si tratta di "trasparenza", ma le ong la definiscono piuttosto una ingerenza statale che limita l'autonomia di enti autonomi.

 

L'attacco alla Ceu, ora, è stato definito dal rettore Liviu Matei una "minaccia alla libertà accademica". Freedom House, una ong indipendente basata a Washington, ha messo in guardia dalla deriva autoritaria e populista di Budapest: "La fragilità delle istituzioni ungheresi sono un monito, soprattutto in contesti dove le norme politiche hanno radici superficiali e dove i populisti riescono a infilarsi tra le pieghe del malcontento sociale". Misure analoghe a quelle proposte dall'Ungheria sono già allo studio in Polonia – le ha già annunciate la premier Beata Szydlo – in Slovacchia – dove la destra ha proposto un registro delle ong straniere – e in Macedonia. Qui, in particolare, è nata anche la campagna Stop Operation Soros sostenuta dal dall'ex primo ministro di destra Nikola Gruevski, costretto a dimettersi più di un anno fa per quelle che ha definito pressioni internazionali. Attacchi alla Open Society Foundation di Soros sono arrivati in questi mesi anche dal governo socialista rumeno, dalla Bulgaria, dove un giornale l'ha definito un "terrorista liberale", e dalla Serbia, dove la destra definisce il guru della finanza un "ebreo legato ai Rothschild". 

 

Molte università sparse per il mondo hanno avviato una raccolta firme per cercare di fermare l'attacco di Orban all'indipendenza accademica. Un fronte su cui lo stesso presidente ungherese – dicono gli oppositori – dovrebbe mostrare maggiore sensibilità avendo beneficiato lui stesso di una borsa di studio finanziata da Soros quando era un giovane oppositore del regime comunista.

  • Luca Gambardella
  • Sono nato a Latina nel 1985. Sangue siciliano. Per dimenticare Littoria sono fuggito a Venezia per giocare a fare il marinaio alla scuola militare "Morosini". Laurea in Scienze internazionali e diplomatiche a Gorizia. Ho vissuto a Damasco per studiare arabo. Nel 2012 sono andato in Egitto e ho iniziato a scrivere di Medio Oriente e immigrazione come freelance. Dal 2014 lavoro al Foglio.