Proteste turche a Rotterdam (foto LaPresse)

Quali potrebbero essere le conseguenze delle tensioni tra Olanda e Turchia

Enrico Cicchetti

La crisi diplomatica che ha coinvolto i due paesi peserà sulla bilancia delle elezioni nei Paesi bassi. Ma potrà fare gioco anche a Erdogan in vista del referendum del 16 aprile

Roma. Nel fine settimana scorso la tensione tra Unione Europea e Turchia ha toccato un nuovo apice, a partire dallo scontro tra il governo di Ankara e quello olandese. La vicenda si inserisce nel più ampio contesto delle elezioni referendarie che il 16 aprile potrebbero trasformare la Turchia in una repubblica presidenziale, una controversa riforma istituzionale sostenuta con forza dal presidente Recep Tayyip Erdoğan e dal suo partito, l'Akp, che ha trovato i numeri in parlamento grazie all'appoggio dai nazionalisti di destra del Mhp. Se approvata, la nuova Costituzione prevede tra l'altro l’abolizione della figura di primo ministro e il passaggio delle sue funzioni al presidente, il quale godrà di ampia autorità anche sulla magistratura. Il disegno di legge spianerebbe la strada a Erdoğan per restare in carica sino al 2029.

 

Anche se la popolarità del presidente turco è aumentata molto dopo il tentativo di golpe del 15 luglio scorso, l'esito della consultazione rimane incerto, con i sondaggi più recenti che rispecchiano un paese profondamente diviso: per Eurasian Opinion Research Center il No è vincente al 48,2 per cento mentre per Orc sarebbe in testa il Sì al 51,6 per cento. Siccome Erdoğan vuole un plebiscito, ha bisogno anche dei voti dei turchi residenti all'estero: quasi 4 milioni dei quali si trovano nella sola Germania. Così la battaglia politica si sta spostando in Europa (nonostante la legge turca vieti di fare campagna elettorale al di fuori del paese). E mentre Ankara manda i suoi ministri a promuovero il Sì tra gli expat del vecchio continente, alcuni comuni tedeschi e austriaci hanno cancellato le manifestazioni per motivi di ordine pubblico.

Questa dinamica sabato scorso ha portato il governo dell'Aja a vietare l'atterraggio del volo con a bordo il ministro degli Esteri turco Mevlüt Çavuşoğlu, che avrebbe dovuto tenere un comizio a Rotterdam per sensibilizzare i circa 400.000 turchi residenti nei Paesi bassi. Il ministro, durante un discorso tenuto a Metz, nel nordest della Francia, ha attaccato l'Olanda, definita "Capitale del fascismo". Accuse rilanciate poi dallo stesso Erdoğan: “Sono dei fascisti, eredi dei nazisti. Vietate pure al nostro ministro degli Esteri di entrare nel vostro paese, ma da ora in poi vedremo se i vostri voli atterreranno in Turchia”. Per il premier turco Binali Yıldırım "non si può considerare l'Olanda come un alleato", nonostante i due paesi facciano entrambi parte della Nato e i Paesi bassi siano uno dei principali investitori in Turchia: il volume degli scambi commerciali tra i due paesi è triplicato negli ultimi 10 anni.

 

In Olanda sono state arrestate 12 persone accusate di aver preso parte a disordini e violenze contro la polizia avvenute davanti al consolato turco di Rotterdam. Le autorità turche hanno invece chiuso l'ambasciata olandese ad Ankara e il consolato olandese a Istanbul, in cima al quale è stata issata la bandiera rossa con la mezzaluna al posto di quella olandese, mentre gruppi di dimostranti gridavano in strada "Allahu Akbar" e insulti contro la "maledetta e razzista Olanda". Le autorità turche hanno poi spiegato che si è trattato di un'iniziativa degli impiegati turchi del consolato e non di un'invasione territoriale da parte dei manifestanti.

 



 

La crisi diplomatica si è oggi estesa alla Danimarca, che ha imposto al premier Yıldırım di rinviare la sua visita a Copenaghen, a Berlino, che ha annunciato limiti ai comizi, e alla Francia. Qui il presidente Hollande ha consentito l'ingresso dei leader turchi e fomentato le polemiche di Marine Le Pen e François Fillon, alle cui voci si aggiunge oggi quella di Emmanuel Macron: “Non ci può essere alcuna debolezza di fronte a questi attacchi. L'Unione europea deve reagire unita".

 

A meno di 48 ore dalla chiamata alle urne che il 15 marzo deciderà il nuovo governo olandese, la spirale da Guerra fredda di retorica e ostilità tra i due paesi minaccia di pesare in maniera imprevedibile sulla bilancia della campagna elettorale nei Paesi bassi. Secondo diversi analisti politici sentiti da Bloomberg, l'incidente internazionale potrebbe far gioco sia al Pvv, il partito populista e anti-islamico di Geert Wilders, sia ai liberali del primo ministro in carica Mark Rutte, che ha dimostrato di essere in grado di rispondere con decisione alle provocazioni. La crisi diplomatica potrebbe però anche rivitalizzare la campagna dei nazionalisti, che negli ultimi giorni si stava spegnendo.

 

 
Un sondaggio condotto da Peil.nl mostra come secondo l'86 per cento degli intervistati Rutte abbia fatto un buon lavoro durante la controversia ma anche che gli elettori del Pvv siano aumentati. Un ulteriore sondaggio pubblicato questa mattina dà comunque in vantaggio i liberali. Una vittoria di Wilders darebbe invece benzina alla retorica erdoganiana, secondo cui il paese si trova a fronteggiare un Occidente islamofobo che detesta francamente la Turchia. Un ottimo colpo in vista del referendum di aprile.