Frauke Petry (foto LaPresse)

Missioni russe

Che cosa ci dice sulla tenuta europea la visita di Frauke Petry a Mosca

Paola Peduzzi

“Cooperazione” tra la leader del partito nazionalista tedesco AfD e l’entourage del Cremlino. Le altre ingerenze

Milano. Frauke Petry, leader di Alternative für Deutschland (AfD), partito nazionalista tedesco, è andata a Mosca durante lo scorso fine settimana per discutere “modalità di collaborazione” tra le assemblee regionali della Germania e della Russia. La Petry ha detto di aver incontrato Vyacheslav Volodin, ex chief of staff del presidente russo Vladimir Putin e stratega elettorale, e Pyotr Tolstoy, discendente di Lev Tolstoy, che guida alcuni talk-show sulla tv di stato naturalmente pro Cremlino. Nella dichiarazione della Duma, il Parlamento russo, si legge che nell’incontro con i vertici dell’AfD si è parlato di “cooperazione tra partiti e dello sviluppo di contatti tra le organizzazioni giovanili”. A questo meeting era presente, tra gli altri, Vladimir Zhirinovsky, grande sostenitore dell’annessione della Crimea alla Russia, dei bombardamenti russi in Siria (“stiamo fermando la terza guerra mondiale”) e di Donald Trump: durante la campagna elettorale americana, Zhirinovsky aveva detto che Hillary Clinton avrebbe lanciato “una guerra nucleare”, e che l’unico modo per fermarla era votare per Trump.

 

Frauke Petry non ha rilasciato commenti sulla visita, si è limitata a confermare il piano di collaborazione con l’entourage del Cremlino, ma la notizia ha allarmato molti osservatori, non soltanto in Germania. In questo momento l’AfD, che pure nelle ultime tornate elettorali regionali ha registrato un certo successo, è in calo, all’8 per cento, il punto minimo negli ultimi sette mesi, secondo le rilevazioni. Ma la missione russa di Petry preoccupa, perché rinsalda quell’asse trumpiano-putiniano che anima i partiti nazionalisti in tutta Europa, soprattutto in quei paesi nei quali nel 2017 sono previste elezioni generali.

 

La Germania, che pure ha un establishment, soprattutto quello di sinistra, molto conciliante con Mosca, da settimane segnala le ingerenze russe nella campagna elettorale: il capo dell’intelligence interna tedesca, Hans-Georg Maassen, ha detto all’inizio del mese allo Spiegel che “i vecchi metodi” del Kgb, disinformazione e destabilizzazione, sono utilizzati “palesemente” in Europa. I media tedeschi hanno segnalato nelle scorse settimane come agisce la propaganda russa in Germania: ha fatto particolare scalpore la storia di una ragazzina di tredici anni, scomparsa a gennaio mentre andava a scuola. Secondo la ricostruzione dei russi – con una lettera al ministero degli Esteri tedesco da parte dell’ambasciata russa a Berlino e un intervento esplicito del ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov – la ragazzina è stata violentata da un gruppo di immigrati, e la polizia e il governo tedeschi hanno fatto di tutto per coprire la vicenda. “Propaganda politica”, ha sentenziato il ministero degli Esteri tedesco, ma la vicenda è stata ripresa per settimane dai media russi.

 

Come si sa, l’allerta in Europa è alta rispetto alle ingerenze russe, i servizi di intelligence hanno registrato migliaia di attacchi hacker e hanno affinato il sistema di monitoraggio di media e social. Ma non basta. In Francia, la Russia sostiene finanziariamente ancorché con il “soft power” della propaganda il Front national di Marine Le Pen, che ha stretti legami con Mosca e allo stesso tempo si rivende come la migliore interprete del trumpismo nel paese, augurandosi una prossima ed efficace uscita della Francia dalla zona euro (al momento, la Le Pen è in testa nei sondaggi per il primo turno delle presidenziali del 23 aprile; uscirebbe invece sconfitta al secondo turno in ogni modo, sia contro il gollista François Fillon sia contro il liberale outsider Emmanuel Macron). La settimana scorsa il New York Times ha pubblicato un lungo articolo che dettagliava l’ingerenza russa nell’altra contesa elettorale in corso, quella in Olanda, la prima in ordine di tempo (si vota il 15 marzo): il team pro russo si era consolidato l’anno scorso, in occasione del referendum sulla partnership dell’Ucraina in cui vinse il no (il quorum fu raggiunto per un soffio), e ora agisce per favorire l’avanzata del Partito delle libertà di Geert Wilders, nazionalista che vuole bandire il Corano in Olanda, che ora è dato favorito nei sondaggi.

 

Molti siti di monitoraggio raccontano con grande frequenza come agisce la pressione russa e trumpiana sui media europei. Ma ci sono anche segnali in senso opposto. Uno dei colossi del trumpismo, Breitbart, avrebbe rallentato i suoi (temutissimi) programmi di sbarco sul continente europeo, annunciato all’indomani della vittoria di Trump in America. Politico Europe ieri spiegava, citando fonti coinvolte nel processo di espansione di Breitbart, che molti giornalisti sono stati contattati, ma ci sono problemi di lingua e anche approcci diversi su come gestire il lancio delle piattaforme in Francia e Germania. Il direttore dell’edizione inglese, attiva già da tre anni, ha smentito l’articolo, accusando Politico di aver inventato le conversazioni. Si sa che il mondo legato a Breitbart maneggia con grande abilità l’effetto sorpresa.

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi