Michel Temer (foto LaPresse)

In Brasile economia e governo traballano? Chiedete ai giudici

Angela Nocioni

Hanno buon gioco i consiglieri economici del presidente a lamentarsi di una invasività politica delle inchieste giudiziarie per corruzione che, dicono loro, delegittima talmente il governo da non permettergli di varare nemmeno una delle misure economiche necessarie 

Roma. Se il governo di Michel Temer in Brasile combina poco e niente, la responsabilità politica sarà senz’altro del suo presidente che, d’altra parte, nei sondaggi risulta avere un consenso popolare sotto l’8 per cento. Difficile, però, far muovere un passo in qualsiasi direzione a un governo tenuto sotto una pioggia torrenziale di notizie giudiziarie che lo riguardano. Difficile che il rimediatissimo esecutivo messo su in fretta e furia con Temer a capo, dopo l’allontanamento dalla presidenza per un discutibile processo di impeachment della ex presidente Dilma Rousseff nell’agosto scorso, esecutivo con un asse politico diametralmente opposto a quello precedente, possa portare avanti anche soltanto una delle misure economiche annunciate come “imprescindibili” da Temer per far quadrare i conti pubblici. Hanno buon gioco i consiglieri economici del presidente a lamentarsi di una invasività politica delle inchieste giudiziarie per corruzione che, dicono loro, delegittima talmente il governo da non permettergli di varare nemmeno una delle misure economiche necessarie a uscire dalla crisi. Suona da parte loro come patetica scusa per l’immobilismo dimostrato, certo. Ma a seguire la mitragliata quotidiana delle notizie di giudiziaria brasiliana che sfiora oggi un ministro, domani il presidente, qualche dubbio viene.

Sull’uscita dalla crisi economica nessuno azzarda far promesse. I dati ufficiali sono pessimi. Il prodotto interno lordo è caduto di 3 punti e mezzo anche quest’anno, come l’anno scorso. La Banca centrale prevede per il 2017 una crescita dello 0,5 per cento. Dei più di 12 milioni di brasiliani che risultano disoccupati, quasi 2 milioni hanno perduto il lavoro nel 2016. E la tendenza va verso il peggioramento. Secondo le previsioni della banca Santander nel 2017 la disoccupazione arriverà al 12,7 per cento. L’unica notizia buona per Temer viene per ora da Washington. Almeno si spera. Se il presidente statunitense Donald Trump, dopo il 20 gennaio, mostrerà di tradurre in gesti concreti gli sgarbi per ora solo accennati contro la Cina, per il Brasile si potrebbe rendere disponibile una nuova quota di mercato cinese. Nei prodotti agricoli c’è già competizione tra Stati Uniti e Brasile per l’export verso la Cina. Per liberarsi dalla pressione delle piazze, che comincia a farsi sentire, Temer, dopo aver inizialmente ufficializzato un tetto di spesa pubblica massimo per i prossimi venti anni, a Natale ha lanciato una serie di piccole misure di sollievo per la classe media, per esempio la riduzione dell’interesse delle carte di credito, ma non è riuscito ad andare oltre. Lettera morta è anche quella riforma delle pensioni che Temer annunciò appena insediatosi come la sua prima grande mossa (non si potrà andare in pensione prima dei 65 anni e con 45 anni di servizio).

Il governo Temer è fragile, sempre sull’orlo della destituzione. La minaccia diretta viene da una possibile sentenza del Tribunale superiore elettorale (Tse). Se verrà stabilito che ci furono finanziamenti in nero alla campagna per le presidenziali del 2014, il Tse potrà chiedere la destituzione della lista risultata vincitrice delle elezioni, la lista Rousseff-Temer. I due furono eletti insieme e, se il Tse lo riterrà opportuno, insieme saranno destituiti, con la differenza che la Rousseff destituita è stata già, da uno sgambetto fattole dal suo infido vicepresidente Temer, ex alleato, che prima si è candidato con lei e poi le ha fatto le scarpe. Sarebbe una deliziosa vendetta per Dilma. Il Pt dell’ex presidente non ha saputo tenere a bada né Temer né i suoi scagnozzi perché mai come in questa legislatura ha avuto bisogno dei voti avvelenati della formazione di Temer, il Partito del movimento democratico brasiliano, il Pmdb, il partito del governo a tutti i costi e con chiunque. Il Pmdb, fondamentale ago della bilancia del sistema politico, non presenta mai un candidato presidenziale proprio, però governa sempre. Si allea con chi vince, lo decide sempre dopo il risultato. Mai prima. L’ultima volta si è schierato invece con la Rousseff fin dal primo turno. Il conto salato di quell’alleanza l’ha pagato Dilma con l’impeachment, tra poco potrebbe toccare a Temer. 

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