Il convegno organizzato dal Foglio ieri a Roma al Tempio di Adriano. Da sinistra a destra: l’Imam francese Hassen Chalghoumi, Bat Ye’or, Benedetto Della Vedova, il blogger palestinese Waleed Al-Hussei

Perché Israele è la frontiera d'Europa

Giulio Meotti

L’Europa ha voltato di nuovo le spalle agli ebrei e a Israele. Ma il pacifismo pilatesco non la salverà

L’introduzione di Giulio Meotti al convegno organizzato ieri dal Foglio, a un anno dalla tragedia del Bataclan, su Israele vera frontiera dell’Europa.

 

Che questo sia un evento storico lo si capisce dalla platea di oratori: per un terzo è composta da intellettuali arabo-islamici invitati a parlare di Israele. Non era mai successo prima. Ognuno di loro, lo scrittore algerino, il blogger palestinese, l’imam francese, è stato toccato dallo stesso odio islamista che da settant’anni getta la sua ombra sinistra su Israele. Perché abbiamo indetto questa conferenza internazionale? Un anno fa, il terrorismo islamista ha fatto 130 morti negli attentati al Bataclan e nei ristoranti di Parigi, inaugurando una lunga stagione del terrore. Negli stessi giorni, in Israele, una nuova ondata di terrorismo spezzava le vite di molti cittadini israeliani. Ma se le stragi dell’Isis hanno scosso tutti, quelle in Israele sono state accolte con una scrollata di spalle, grotteschi titoli di giornale da cui scomparivano persino i coltelli dei terroristi, come se il terrorismo contro Israele fosse diverso, quasi naturale, persino meritato. Questa estate, uno degli autori qui presenti stasera, il grande scrittore algerino Boualem Sansal, ci ha detto: “La guerra con l’islamismo durerà a lungo. Cambierà molte cose della civiltà occidentale. Se l’Europa non avrà una base più solida, sarà islamizzata”.

 

Se c’è un paese che per primo ha conosciuto questa “lunga guerra” è proprio Israele. L’estremismo islamico in Inghilterra ha fatto la sua comparsa sulla scena proprio con un attentato in Israele, al Mike’s Place. Il 30 aprile 2003 un kamikaze inglese si fece esplodere in quel caffè sul lungomare di Tel Aviv, uccidendo tre israeliani. Siamo qui per dire perché Israele non può fare a meno dell’Europa, nel momento stesso in cui sembra che lo stato ebraico la stia perdendo e che molti israeliani pensano di poterne fare a meno. Nel corso dell’ultimo anno abbiamo visto un boicottaggio delle merci israeliane da parte dell’Unione europea e una vergognosa risoluzione dell’Unesco, che ha sede a Parigi, il quale ha negato le radici ebraiche di Gerusalemme. Con i suoi ventimila chilometri quadrati, Israele è grande come la Lombardia; i paesi arabi si estendono su una superficie di tredici milioni di chilometri quadrati, tre milioni più di tutta l’Europa. Il fatto che oggi lo stato di Israele continui a esistere appare come un miracolo. Ma un miracolo ben più grande della superficie che occupa. Un miracolo che l’Europa dovrebbe avere a cuore. Israele è, infatti, il piccolo pegno della nostra civiltà. Israele sembra forte, fortissimo. La sua economia è robusta. Produce premi Nobel. E’ il secondo paese più colto del mondo. Svetta in tutti gli indici di felicità. E’ la startup nation. E un laboratorio di scoperte scientifiche. Il suo esercito non ha rivali, a eccezione del programma nucleare dell’Iran, impegnato a cancellare Israele dalla mappa.

  

Ma c’è un pericolo invisibile più difficile da fermare: la delegittimazione. Questa è la guerra che Israele sta perdendo e la sta perdendo perché l’Europa ha deciso di voltare le spalle agli ebrei, di nuovo. E’ in corso una campagna per isolare Israele, per denigrarlo, per abbandonarlo a un destino nel cui orizzonte c’è solo la guerra. L’antisemitismo intanto dilaga. Non è “l’Europa”, quella istituzionale. Non è più l’antisemitismo di stato, ma qualcosa di diverso, l’indifferenza morale e il cinismo politico della cosiddetta “società civile”. Ogni giorno, arrivano notizie di boicottaggi di Israele nelle università. Ogni giorno qualche supermercato in Europa, come il più grande di Berlino, elimina merci provenienti da Israele. Teatri, gruppi musicali, scrittori, ogni giorno arrivano notizie di boicottaggi. E soltanto Israele è marchiato. Un anno fa l’Unione europea ha siglato un accordo con il Marocco per sfruttare le risorse del Sahara occidentale. Nessuna accusa, in questo caso, di “occupazione”, nessuna marchiatura speciale. Come per Cipro settentrionale, invaso dalla Turchia. Nessun boicottaggio è lanciato contro la Cina che imprigiona lo scrittore e premio Nobel Liu Xiaobo; contro l’Iran, dove gli accademici dissidenti si lanciano dalla finestra per sfuggire alla tortura; contro Cuba, le cui università sono una farsa; contro l’Autorità palestinese, nelle cui università si inneggia ai kamikaze. No: c’è un boicottaggio occidentale unicamente contro Israele, che vanta uno dei più alti livelli di libertà accademica del mondo. Ogni giorno, leggiamo di istituti ebraici che in Europa sono protetti come obiettivi militari. La kippah, il più visibile simbolo ebraico, sta scomparendo in molte parti d’Europa, da Marsiglia a Malmo. In quindici anni, 40 mila ebrei francesi hanno lasciato il paese. Ci sono intere aree in cui è meglio non essere riconosciuti come ebrei. Non sono Gaza o Riad, ma Tolosa, Anversa, Copenaghen, Berlino, Bruxelles, Saint-Denis, Amsterdam, la città dove si nascose Anne Frank. E’ di nuovo questo il futuro per gli ebrei in Europa, la valigia sempre pronta?

 

Ogni giorno, Israele è sommerso delle peggiori bugie nelle aule dell’Onu dominate dagli spietati tiranni, come l’Arabia Saudita e la Siria, che si permettono di dare lezioni all’occidente. Lo scorso 9 novembre, l’Assemblea generale dell’Onu ha condannato per dieci volte Israele, mentre regimi che praticano la segregazione e l’omicidio su vasta scala non hanno meritato una sola citazione. E cosa ha fatto l’Europa? Ha votato contro Israele. Il solo fatto di pronunciare oggi il nome di Israele fa perdere la ragione a molte persone, specie nell’alta società, fra la gente che conta. Tanti pensano: “Israele non ci serve, è dannoso, abbandoniamolo e i terroristi se ne staranno buoni”. E’ lo stesso vile pacifismo, la stessa sindrome di Monaco che portò l’Europa in guerra negli anni Trenta. Allora erano i Sudeti, oggi è Israele. E con questo pacifismo l’Europa, anziché aiutare i palestinesi a volgersi verso un futuro dove sia presente Israele, continua a fomentare il risentimento contro lo stato ebraico, che Marco Pannella definì “metastasi della democrazia in medio oriente”. L’Europa ha tanto da imparare dagli israeliani: come può una democrazia liberale convivere con la minaccia del terrorismo e uscirne vincente? Che fare? Solidarietà. E’ l’unica arma che abbiamo in Europa per proteggere Israele, l’unico paese al mondo la cui stessa esistenza è contestata dalle nazioni del mondo, l’unico paese al mondo la cui capitale non è riconosciuta, l’unico al mondo che costruisce bunker per proteggere i civili. Gli europei si cullano nell’illusione che ci sia una differenza fra l’aeroporto Zaventen di Bruxelles e l’aeroporto di Tel Aviv, ma non è così: il terrorismo islamista non fa distinzioni. Da che parte starà l’Europa? Stasera siamo qui per rispondere a questa domanda. 

  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.