Un ebreo in preghiera davanti al Muro del Pianto (foto LaPresse)

“L'Europa è asservita all'islamismo”

Giulio Meotti
L’Unesco scaccia gli ebrei da Gerusalemme. “Le democrazie si sono astenute per paura”, dice al Foglio Ben-Dror Yemini, editorialista di origini yemenite del principale quotidiano israeliano, Yedioth Ahronoth. Il caso dell’ambasciatore Andrés Roemer.

Roma. L’Unesco, l’agenzia delle Nazioni Unite per la cultura, martedì ha approvato in via definitiva una risoluzione che disconosce i legami storici degli ebrei con i luoghi santi della Città vecchia di Gerusalemme, che vengono menzionati esclusivamente con i loro nomi islamici, e in cui si definisce Israele “potenza occupante”. “Con o senza l’Unesco, il Monte del Tempio è e rimarrà il luogo più sacro per il popolo ebraico”, ha detto la ministra israeliana della Cultura Miri Regev. “Abbracciando la falsa narrazione palestinese, del tutto infondata rispetto ai dati della storia, l’Unesco si è coperta di ridicolo”.

 


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Ma di ridicolo si sono coperte anche le democrazie che si sono astenute sulla risoluzione che priva il popolo ebraico anche del Muro del Pianto. Dei paesi europei, soltanto Germania, Inghilterra, Olanda, Estonia e Lituania hanno votato contro la risoluzione. “L’Unesco ha ufficialmente adottato la narrativa islamica”, dice al Foglio Ben-Dror Yemini, editorialista di origini yemenite e firma di punta del principale quotidiano israeliano, Yedioth Ahronoth. “Per loro anche Gesù era un bugiardo e un impostore. La risoluzione dell’Onu è basata sulla menzogna. Ma così facendo non favoriscono la riconciliazione, ma l’estremismo islamico”. E che dire del tradimento europeo? “Tutti i paesi occidentali che hanno votato contro Israele lo hanno fatto perché hanno paura dell’islam politico radicale e delle maggioranze arabe automatiche all’Onu. Si sono arresi al fondamentalismo. Non puoi combattere l’islamismo a colpi di astensioni. L’appeasement non porta alla pace, ma alla guerra”.

 

Il caso dell’ambasciatore Andrés Roemer

 

C’è un ambasciatore che non si è arreso durante il voto di Parigi. Andrés Roemer Slomianski, l’ambasciatore del Messico all’Unesco, non è soltanto un diplomatico, un avvocato, un economista e l’autore di svariati libri di scienze politiche. Roemer è anche un eroe. L’unico eroe nella giornata della vergogna in cui l’agenzia dell’Onu per la scienza e la cultura ha votato per il disconoscimento delle radici ebraiche di Gerusalemme.

 

Giovedì scorso, il Messico è stato uno dei ventiquattro paesi che si sono uniti al blocco arabo-islamico e che hanno fatto approvare la risoluzione. Ma quando si è trattato di votare, Roemer è uscito dall’aula perché, seguendo la sua coscienza, non se l’è sentita di assecondare la risoluzione. “La sua coscienza non gli avrebbe permesso di votare per ignorare il legame storico e religioso con il Monte del Tempio e il Muro occidentale”, ha scritto l’ambasciatore israeliano all’Unesco, Carmel Shama-HaCohen. “Si è alzato e ha lasciato l’aula all’inizio delle operazioni di voto e uno dei suoi vice ha votato al posto suo”.

 

Proprio a causa della presa di posizione di Roemer e dello scandalo che ne è seguito, martedì il Messico si è astenuto nella nuova votazione. Roemer, intanto, ha perso il suo posto da ambasciatore. Il ministero degli Esteri di Città del Messico ha annunciato che sostituirà Roemer, che è il nipote del grande direttore d’orchestra viennese, Ernesto Roemer, che cambiò il nome da Rosenfeld, fuggì dall’Austria quando i nazisti salirono al potere e riparò in Messico, dove venne ospitato dal pittore Diego Rivera.

 

Opporsi alla maggioranza arabo-islamica ha un prezzo. Lo sta pagando anche Irina Bokova, direttore generale dell’Unesco e critica della risoluzione: da martedì, Bokova è minacciata di morte e sotto la protezione della polizia. Bokova aveva preso le distanze dal testo, ritenendo che “il patrimonio di Gerusalemme è indivisibile”. C’è rabbia a Parigi per la scelta francese nel voto all’Unesco. Il Crif, l’organizzazione che riunisce le istituzioni ebraiche francesi, ha definito “deplorevole” l’astensione della Francia. Lo scorso maggio, il premier Manuel Valls si era schierato contro la risoluzione che “nega la storia e la presenza ebraica a Gerusalemme”. Il rabbino capo di Francia, Haïm Korsia, ha attaccato il governo, mentre Meyer Habib, membro dell’Assemblea nazionale e il più alto rappresentante della comunità ebraica francese, ha detto in aula che “la Francia ha perso di nuovo l’opportunità di dimostrare fermezza e credibilità”. Il giornalista israeliano Ben-Dror Yemini si è chiesto in un articolo pubblicato dall’edizione francese dell’Huffington Post: “Quanto a lungo la diaspora e le istituzioni religiose ebraiche rimarranno in un paese che nega l’esistenza stessa del collegamento del giudaismo con il centro mondiale della spiritualità e della storia ebraica?”.

 

I Paesi Bassi si confermano ancora nell’asse pro Israele in Europa. Ma non tutti sono d’accordo con la politica del premier liberale, Mark Rutte. Duro l’ex primo ministro olandese dal 1977 al 1982, Dries van Agt, che pochi giorni fa ha chiesto di processare per “crimini di guerra” il premier israeliano Benjamin Netanyahu. Van Agt ha anche detto: “Gli ebrei hanno bisogno di un luogo sicuro? Perché non potevano ottenerne uno in Germania? Sarebbe più logico per gli ebrei aver ottenuto un pezzo di terra in Germania, visto che il medio oriente non aveva nulla a che fare con la Seconda guerra mondiale”. I soloni dell’Unesco non avrebbero saputo dirlo meglio. Ma già il nazismo parlava in modo derisorio di “luftmenschen”, l’ebreo come una “creatura dell’aria” che non ha casa né radici.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.