Rivolta analogica

Eugenio Cau

Tornano le pellicole, le Polaroid, i rullini, i vinili e la carta. Gesti, profumi e ricordi che rischiano di invertire le regole dell’innovazione

Nel Regno Unito le vendite di vinili la settimana scorsa hanno superato per la prima volta i download digitali. La risurrezione dei vinili (e delle macchine fotografiche a pellicola, delle polaroid, dei libri di carta…) è un fenomeno che nessuno si attendeva nel bel mezzo della rivoluzione digitale. E' in corso una rivolta analogica? In un lungo articolo dello scorso marzo Eugenio Cau provava a dare alcune risposte.

 


 

Alla grande fiera dell’elettronica di consumo (Consumer Electronics Show, Ces) che si tiene ogni anno a Las Vegas, le compagnie tech espongono il meglio delle loro innovazioni futuristiche. Al Ces del 2016, che si è tenuto all’inizio dell’anno, sono stati presentati televisori con immagini quasi più definite della vita reale, frigoriferi che parlano, droni autoguidati, dispositivi per la realtà virtuale, perfino un grosso cerchietto laser che, a detta dei suoi inventori, fa ricrescere i capelli a chi li ha persi. Ma quest’anno un posto d’onore alla fiera del futuro è andato a tecnologie tutt’altro che nuove. Alcune delle compagnie più importanti presenti al Ces hanno presentato orgogliose, tra i nuovi prodotti, dei modelli di giradischi. Per i vinili, con la puntina e tutto il resto, come quello che si trovava a casa della nonna prima che anche lei si convertisse all’iPod. Certo, i giradischi presentati da Sony, Panasonic e Audio Technica hanno la connessione bluetooth e funzioni avanzate, ma l’ultima volta che oggetti simili hanno avuto tanto rilievo a Las Vegas sarà stato trent’anni fa. Poco lontano, nello stand della Kodak, il cui fallimento era diventato il simbolo stesso del trionfo del digitale, si celebrava la rinascita del Super 8, il formato cinematografico delle cineprese amatoriali degli anni Sessanta, quello del filmino di famiglia al mare e del video Zapruder dell’assassinio di Kennedy. Sul sito della Kodak, i migliori registi del mondo, da Spielberg a Tarantino, hanno esaltato il ritorno del Super 8 come la meritata “risurrezione dell’analogico”.

 

E’ un fenomeno che nessuno ha visto arrivare. Nick Bilton, columnist del New York Times, questa settimana ha scritto un articolo (uno degli ultimi per la Grey lady, sta per passare a Vanity Fair) in cui mostra pentimento per le tante previsioni sbagliate in campo tecnologico. La sua rubrica fissa sul Times si chiama Disruptions, parola chiave di questo decennio che indica il processo a volte traumatico con cui le nuove tecnologie superano quelle obsolete. Il problema, riconosce Bilton, è che le tecnologie obsolete stanno tornando una dopo l’altra a infestare il mondo moderno. Avevo previsto che l’iPad avrebbe ucciso il Kindle e mi ero sbagliato, scrive Bilton; avevo previsto che gli ebook avrebbero spazzato via i libri di carta e io stesso ho ricominciato a leggere volumi fisici, perché alla lunga degli ebook non ne potevo più. Com’è possibile che le regole basilari dell’innovazione (prodotto nuovo scaccia prodotto vecchio) siano sovvertite in modo così plateale?

 

Il ritorno del vinile è un fenomeno ampio e raccontato, ma ormai di proporzioni così grosse che il capo di Sony Electronics, Mike Fasulo, ha detto di recente che il mercato dei 33 giri è “on fire”. Secondo la società di statistiche Nielsen, che pubblica ogni sei mesi un report sullo stato del mercato musicale, nel 2015 le vendite di dischi in vinile hanno raggiunto il loro decimo anno di crescita consecutivo. Nel 2015, negli Stati Uniti, sono stati venduti quasi 12 milioni di lp, un aumento di circa il 30 per cento rispetto ai 9,2 milioni del 2014, e una cavalcata sensazionale se si pensa che nel 2010 la vendita degli lp era ad appena 2,8 milioni di copie.

 

Il fenomeno è stato attribuito ai millennial, cioè ai giovani che non hanno vissuto la prima diffusione del vinile, e che dunque non possono provare nostalgia per i fruscii e il suono caldo generato dalla puntina del giradischi. Si è detto, per un periodo, che erano gli hipster a comprare i vecchi dischi, malati com’erano di vintage. Ma il fenomeno ormai è enorme, e si muove di pari passo alla crescita altrettanto tumultuosa della musica in streaming e dei servizi come Spotify (le vendite dei cd invece sono in caduta libera). Gli amanti della musica riconoscono la convenienza e l’efficienza dello streaming, e lo usano in quantità sempre maggiori da computer e da smartphone. Ma poi, a casa, si rilassano e ascoltano un bel vinile, come si faceva fino agli anni Ottanta.

 

Un’altra risurrezione inaspettata è quella delle pellicole fotografiche. Quando nel 2012 Kodak, la multinazionale pioniera del settore audiovisivo, annunciò che avrebbe chiesto la protezione del governo americano dalla bancarotta e che contestualmente avrebbe smesso di produrre macchine fotografiche, per molti fu la fine di un’èra e un brutto segnale per il tasso di innovazione nell’industria americana ancora alle prese con i postumi della crisi. Kodak ha prodotto innovazioni spettacolari, ma non ha saputo adattarsi al cambiamento. Nel 1988, quando la società era ancora sulla breccia, assoldò un gruppo di analisti per immaginare quale fosse il futuro della pellicola fotografica. Gli analisti rimuginarono a lungo, poi diedero il loro responso: il futuro della pellicola è il digitale, la pellicola è finita. Furono cacciati, Kodak perse il treno della rivoluzione digitale, arrivò sull’orlo del fallimento e divenne l’esempio plastico del concetto di disruption: se non sei pronto a rinnovarti meriti di estinguerti. Ma oggi Kodak è tornata più vintage che mai, presenta la sua nuova videocamera Super 8 e contempla con soddisfazione i dati sulla rinascita del rullino. Pensavamo tutti che le macchine fotografiche digitali avessero soppiantato definitivamente quelle a pellicola, scomode e costose (e che a loro volta gli smartphone stessero per soppiantare le macchinette digitali). Eppure la vendita di rullini, dopo il crollo degli anni Duemila, è in lento ma costante aumento. Nel 2012, per esempio, sono stati venduti nel mondo 35 milioni di rullini, con un aumento consistente rispetto ai 20 milioni dell’anno prima. E’ una frazione rispetto agli 800 milioni del 1999, anno del picco della produzione, ma segnale di una resilienza inedita. Sono sempre di più i fotografi che tornano alla pellicola dopo anni passati a scattare in digitale, e che magari alternano i due formati, apprezzando i punti di forza di entrambi. Anche nella cinematografia aumentano i registi che sperimentano con l’antico, riesumando vecchi format analogici.

 

Ai millennial (e anche ai loro fratellini più giovani, la cosiddetta generazione Z), si deve un altro ritorno sorprendente: quello della Polaroid. Le foto quadrate, sgranate, dai colori spesso sballati, scattate da macchine grosse, lente e brutte, ma al tempo stesso così immediate, sono tornate di moda negli ultimi anni. Polaroid, compagnia americana, aveva smesso di vendere le sue pellicole autosviluppanti nel 2007, mentre si accasciava sotto il peso dell’obsolescenza. I diritti di pellicole e fotocamere sono stati venduti a una piccola società olandese, che adesso non riesce a far fronte alle richieste. “Le vendite sono cresciute del 60 per cento”, ha detto il ceo Creed O’Hanlon.

 

Chi scrive ha una sorella adolescente che da bambina, la prima volta che vide una macchina fotografica analogica, la girò sul dorso e disse, sorpresa e quasi spaventata: dov’è lo schermo? Come si guardano le foto su questa macchina? Viveva in un mondo digitale, non riusciva nemmeno a immaginare che potessero essere esistiti i rullini di pellicola. Oggi la sorella adolescente ha fatto riesumare una vecchissima macchina per le Polaroid, tutta presa anche lei dalla risurrezione analogica.
Anche l’ultima fase (quella terminale, scherzano alcuni professionisti) dell’evoluzione della fotografia, e cioè Instagram, è vittima per molti versi del ritorno dell’analogico. I filtri da applicare alle fotografie prima di pubblicarli, giallognoli o seppiati, che spesso riproducono le imperfezioni della foto stampata, sono il cascame di una nostalgia fotografica tutta a pellicola. Anche quando scattano selfie chiusi in bagno con lo smartphone, i ragazzi vorrebbero avere al collo una macchina fotografica di metallo da vecchio reporter.

 

La più celebre tra le morti annunciate che non lo sono state è quella del libro di carta. Minacciato prima dai lettori di ebook, dai Kindle e infine dai tablet, è stato dato per spacciato un numero infinito di volte. Ma il libro, che forse è la tecnologia più resiliente degli ultimi due millenni, non solo ha resistito, ma ha contrattaccato. Da un anno ormai si parla di calo delle vendite degli ebook. E anche se a guardare bene i dati il calo è decisamente sovrastimato, nel confronto tra digitale e analogico la carta è decisamente meglio piazzata. In mercati come quello italiano gli ebook sono una frazione trascurabile dei libri letti, e anche in America, dove la penetrazione dei volumi digitali è sempre stata piuttosto alta, dopo un lungo crollo le vendite di libri sono tornate ad aumentare a partire dal 2013. Nel 2014 sono stati venduti negli Stati Uniti 559 milioni di libri, nel 2015 sono 571 milioni. Nel frattempo alcune grosse catene di librerie come Waterstone annunciavano che avrebbero smesso di tenere nei negozi lettori digitali Kindle perché le vendite erano “ridicole”.

 

Ci sono altri esempi. Milioni di persone nel mondo, ricorda Bilton sul New York Times, usano ancora il cellulare a conchiglia, quello che bisogna aprire tirando su l’antenna. Tra loro il sindaco di New York Bill de Blasio, la zarina del mondo della moda Anna Wintour, Warren Buffett, Rihanna. Sono ancora in circolazione perfino i cercapersone, moda americana degli anni Novanta di cui a noi in Italia è arrivata traccia quasi solo grazie alle serie televisive mediche. I musicisti usano strumentazioni vintage per mixare i suoni come si faceva ai bei tempi dell’analogico, le auto d’epoca stanno conoscendo un revival impressionante. Perfino le macchine da scrivere, si legge in un pezzo di William Langley sul Telegraph dell’anno scorso, hanno fatto il loro incredibile ritorno. E quando gli oggetti analogici sono impossibili da ottenere, si trova il loro sostituto digitale. L’attore Tom Hanks, autore di recente di una “lettera d’amore” alla macchina da scrivere, in cui descrive il “piacere tattile incomparabile” dei tasti meccanici, ha sponsorizzato una app per device mobili che riproduce la sensazione di usare gli stessi strumenti creativi di Ernest Hemingway.

 

Fino a che non è iniziato questo nuovo risorgimento analogico, i luddisti hanno sempre avuto ragione. Non tanto nella conclusione, ma nelle premesse. Il telaio meccanico soppianta il telaio manuale, è quasi una legge della natura, evoluzionismo applicato alla tecnica. Gli stessi luddisti, che pure nel Diciannovesimo secolo i telai li distruggevano, sarebbero rimasti sgomenti se improvvisamente i telai manuali avessero ricominciato a diffondersi ed essere usati. E’ insensato, antieconomico, ed è stato così, quasi senza eccezioni, fino a pochi anni fa.

 

Come giustificare allora la risurrezione analogica? C’è chi dice che è un fenomeno meramente culturale, mosso dalla nostalgia più che dal buon senso. I millennial, oltre al look vintage, amano anche le tecnologie sorpassate. Il boom dell’analogico è solo una moda passeggera di cui presto ci dimenticheremo, tornando alle sorti progressive dell’innovazione.

 

In alcuni casi, però, il ritorno dell’antico nasce dalla sua superiorità ancora imbattuta. E’ il caso del libro di carta, più efficiente e duraturo dell’ebook, più facile da consultare, meno affaticante da leggere. Dai tempi di Gutenberg nessun inventore e nessun designer è mai riuscito a migliorare più di tanto il volume di carta, la sua esistenza è quasi un miracolo, l’ebook deve fare ancora una lunga strada per raggiungere la stessa perfezione, e forse non ci arriverà mai. Le vendite degli ebook riprenderanno a crescere lentamente, e a rosicchiare quote di mercato all’editoria tradizionale. Ma finché i libri digitali non saranno pronti, continueranno a convivere la carta, e questa convivenza può essere armoniosa.

 

L’ipotesi più inquietante infine è che la tecnologia digitale sia costituzionalmente insufficiente. Che qualcosa di fondamentale manchi nelle nuove tecnologie, che alcune sensazioni, gesti, profumi siano essenziali per innescare nel nostro cervello i processi di creatività, apprendimento, amore. Alcuni studi scientifici sembrano confermare una sensazione piuttosto diffusa, e cioè che esiste una differenza qualitativa tra la lettura di un libro cartaceo e la lettura di un ebook. Gli ebook “restano” meno, sembra che sia più difficile immagazzinare le informazioni, che i lettori in digitale ricordino peggio e meno quello che hanno letto. Gli ottimisti dicono che è soltanto una questione di abitudine, ma in attesa della mutazione antropologica i libri di carta prosperano. Su Bloomberg View Mark Gilbert ha raccontato di recente come la playlist automatica del servizio di streaming che usa di solito per ascoltare musica non gli lasci il ricordo nemmeno di una canzone. “Invece”, scrive, “ricordo ancora tutti i testi del primo album che ho comprato – e non penso sia una questione d’età”.

 

I sostenitori di questa teoria dicono che il digitale è vuoto, che non si può vivere di soli byte. Bisogna toccare, annusare, mordere. Ma in attesa che le regole dell’innovazione tornino a farsi valere, analogico che risorge e digitale che continua a crescere stanno imparando a vivere insieme. Il vecchio non muore, e anzi ritorna per affiancarsi al nuovo. I fotografi riscoprono la pellicola ma non abbandonano il digitale, gli ebook sono alternati ai libri con naturalezza.

 

E se questo processo valesse anche per l’informazione? Le vendite dei giornali, con poche eccezioni, continuano a crollare in maniera precipitosa in tutto il mondo. Il digitale cresce, ma non riesce a coprire tutti i costi. Questa settimana l’editore del Guardian ha annunciato il taglio di 250 dipendenti, di cui 100 giornalisti, per ridurre i costi e raggiungere il pareggio di bilancio nel giro di tre anni. Ma se l’analogico davvero non è morto e anzi, sta facendo un gran ritorno, allora anche l’oggetto che state tenendo in mano, se leggete questo articolo nella sua versione cartacea, presto potrebbe far parte della grande ondata delle tecnologie risorgenti.

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  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.