Coalizione made in Italy e pro Ceta

Luciano Capone

Parla la maggioranza silenziosa che vuole l'accordo con il Canada. Grana Padano, nautica, Prosciutto di Parma, meccanica, ceramica e pmi si ribellano al sovranismo del km zero

Un fronte vasto e trasversale chiede all’Italia di non fare sciocchezze sulla globalizzazione. Indagine fogliante

Il calendario dei lavori del Senato prevede per questa settimana, a partire da oggi, la ratifica del Ceta – l’accordo di libero scambio tra Unione europea e Canada – anche se è possibile che la discussione e il voto in aula verranno rinviati a settembre. Da un lato ci sono altri temi importanti che devono essere affrontati, ma è evidente che i ritardi e i rinvii dipendano dalle polemiche velenose e dalle vivaci proteste del fronte No Ceta. Questo rumoroso blocco politico e sociale verde-rosso-bruno – che va dal M5s alla Lega nord, da Sinistra italiana a Fratelli d’Italia, passando per Mdp, Cgil, Coldiretti, sigle ambientaliste e un paio di governatori Pd (come Michele Emiliano) – finora ha dominato la discussione sul tema attraverso una martellante retorica sovranista e no global, facendo credere che sia un accordo contrario agli interessi economici dell’Italia. Tanto che anche la maggioranza trasversale che in commissione si è espressa a favore del Ceta – composta da Pd, Forza Italia e centristi – è piuttosto timida nella difesa del trattato commerciale. Ma, come anche in altri campi, i moderati e i riformisti che credono nelle opportunità che il mercato globale può offrire all’Italia dovrebbero affermare con maggiore convinzione le proprie idee. Soprattutto perché in questo caso rappresentano le idee e gli interessi di una maggioranza silenziosa – composta da imprenditori e lavoratori, produttori del settore agricolo e industriale – che è favorevole al Ceta anche se non scende in piazza a urlare per affermarlo. E’ quel pezzo di Italia che tutti i giorni, nonostante le enormi difficoltà che ci sono in questo paese per fare impresa, compete sui mercati internazionali, produce ricchezza e occupazione. Sono le piccole, medie e grandi industrie manifatturiere che producono macchinari, automobili, navi, aerei, piastrelle, calzature, farmaci, mobili, rubinetti, valvole, pompe e compressori, ma anche i consorzi che esportano le eccellenze del made in Italy (Grana Padano, Parmigiano Reggiano, Prosciutto di Parma e San Daniele, Gorgonzola e tutte le 41 certificazioni riconosciute dal Ceta). Sono le imprese che fanno dell’Italia l’ottavo fornitore mondiale del Canada con un volume di interscambio bilaterale di oltre 5 miliardi di euro, 3,7 miliardi di export e un avanzo commerciale di 2,2 miliardi e che, grazie al Ceta, otterranno un abbattimento delle barriere non tariffarie e del 99 per cento dei dazi. Il Foglio ha voluto dare voce alla silenziosa coalizione pro Ceta perché rappresenta la reazione al protezionismo, all’autarchia, al km zero e alla decrescita felice. In quello spazio angusto non c’è futuro per la nostra economia. Lo spazio delle imprese italiane, come dice il presidente di Confagricoltura, è il mondo intero.

 

di Luciano Capone

Il nostro mercato è il mondo intero

L'intervento di Massimiliano Giansanti, presidente di Confagricoltura

 

Il mercato, per l’agricoltura italiana, è certamente il mondo. E il Ceta, l’accordo di libero scambio con il Canada (che entrerà in vigore il 21 settembre), apre prospettive molto interessanti per i nostri prodotti. L’Italia è l’ottavo fornitore del Canada, con un interscambio bilaterale di 5,25 miliardi di euro e un export in crescita del 13 per cento. Ma non solo. L’accordo economico-commerciale tra l’Unione europea e la federazione nordamericana è un’occasione per tutelare le nostre eccellenze alimentari. E’ importante, infatti, che sia stato riconosciuto il concetto di tutela delle Indicazioni geografiche dell’Unione europea in paesi terzi. Così come ci piace che sia stato unificato l’Accordo generale e quello specifico per il vino e gli alcolici, razionalizzando e armonizzando, quindi, la materia. Non va mai dimenticato che l’agricoltura è un business e, come tale, deve guardare lontano. Quest’accordo gioverà, in particolare, ai nostri vini, la maggiore voce dell’export italiano ed europeo verso il Canada: più di 300 milioni di euro. E’ prevista l’eliminazione completa delle tariffe, la tutela di tutte le nostre denominazioni e un generale miglioramento delle attuali condizioni esistenti. Molto interessante, senza dubbio, l’abbattimento dei dazi, ma lo è ancor più la rimozione delle barriere non tariffarie e l’inglobamento dell’accordo specifico già in vigore, cioè una razionalizzazione delle regole che riguardano il settore. Resta ancora un ostacolo da rimuovere: il sistema di monopolio del commercio dei vini, in particolare per le imprese che vi entrano per la prima volta. Guardare al mondo, con questi occhi, è la nostra convinta visione.

Un successo per il made in Italy di qualità

L'intervento di Nicola Cesare Baldrighi, presidente Aicig e Consorzio Grana Padano

 

L’Associazione italiana consorzi indicazioni geografiche (Aicig), in qualità di organismo rappresentativo di oltre il 95 per cento delle produzioni italiane tutelate, esprime una valutazione nel complesso positiva sull’accordo raggiunto con il Canada che, essendo un paese di diritto anglosassone basato sul sistema del marchio d’impresa, non riconosceva in precedenza nessuna tutela ai prodotti a denominazione di origine. Il fatto che un paese nordamericano riconosca il principio delle Indicazioni geografiche e del loro valore pubblico, apre un varco al duro fronte Usa che si oppone a tale principio e può verosimilmente rappresentare un’opportunità.

Meno barriere per l’industria meccanica

L'intervento di Alberto Caprari, presidente di Anima-Confindustria

 

L’industria meccanica italiana è favorevole alla ratifica del Ceta. Abbiamo bisogno di rinnovate relazioni commerciali e di mercati liberi. Il trattato può contribuire ad abbattere alcune barriere tra i paesi, che sovente generano un impoverimento reciproco e, nel nostro caso, limitano la diffusione di buone ed efficienti tecnologie. Nel 2016 la meccanica rappresentata da Federazione Anima ha esportato in Canada un valore complessivo di 340 milioni di euro in prodotti. Negli ultimi cinque anni il Canada si è affermato come un partner importante per la nostra industria manifatturiera e, quindi, un paese che apprezza le nostre tecnologie e macchinari. Auspichiamo pertanto che il Ceta renda ancora più agevole questo rapporto di collaborazione, che si è instaurato sulla stima reciproca e per la qualità delle competenze specifiche. Nel 2016 la metà del valore esportato da Anima è costituito da turbine a gas, valvole e rubinetti, pompe idrauliche. Diversi altri settori registrano incrementi nel valore esportato, come le macchine edili, stradali, minerarie, impianti per sollevamento, serrature e ferramenta, macchine e forni per panifici, apparecchiature per impianti di riscaldamento, carrelli industriali semoventi. Anche la vicinanza “empatica” tra i due popoli conta. La recente visita ad Amatrice del premier canadese Justin Trudeau testimonia chiaramente la presenza di valori comuni forti, che possano portare a un’ulteriore evoluzione della partnership industriale tra Italia e Canada.

Meno dazi e più export per la ceramica

L'intervento di Vittorio Borelli, presidente di Confindustria Ceramica

 

Il Canada è un mercato caratterizzato da un approccio di free e fair trade da parte di tutti gli operatori presenti, dove il rispetto delle regole è una costante diffusa e accettata. A ciò si aggiunge il fatto che questo paese apprezza ed acquista ceramica italiana in volumi significativi. Se infatti guardiamo l’interscambio commerciale di medio termine di materiali ceramici italiani assorbiti possiamo verificare una sostanziale tenuta negli anni più duri della crisi, a cui è seguita una buona intonazione in quelli successivi, che è proseguita fino ai nostri giorni. Il giudizio che Confindustria Ceramica dà del Ceta, l’accordo di libero scambio che entrerà in vigore il prossimo 21 settembre, è sostanzialmente positivo. Questo perché – tra gli effetti di maggior rilievo – possiamo annoverare l’abolizione dei dazi sulle esportazioni di ceramiche italiane in Canada, che oggi incidono per l’8 per cento del valore. Un vantaggio competitivo su quel mercato che la nostra industria potrà essere in grado di ribaltare a favore dei consumatori canadesi, puntando nel contempo anche a un allargamento delle nostre quote di mercato. L’eliminazione reciproca dei dazi alle importazioni può rappresentare, in senso generale, un significativo passo avanti nel consolidamento dei rapporti commerciali tra Canada e Unione europea, foriero di un ulteriore impulso ai flussi di interscambio.

Nel nome del Prosciutto di Parma

L'intervento di Stefano Fanti, direttore Consorzio del Prosciutto di Parma

 

Si tratta di un risultato storico per il Prosciutto di Parma che prenderà finalmente possesso del proprio nome in Canada. L’intesa prevede infatti la coesistenza della denominazione “Prosciutto di Parma” e del marchio “Parma” attualmente detenuto da una società canadese. Da oltre 20 anni, a causa di questa registrazione, vivevamo una situazione molto singolare, perché il nostro prodotto era venduto in Canada come “The Original Prosciutto” o “Le Jambon Original”. Non potendo quindi utilizzare il nostro nome, ci era anche preclusa qualsiasi attività promozionale a favore del nostro prodotto. Avremmo preferito indubbiamente una tutela assoluta del “Prosciutto di Parma” con la cancellazione del marchio concorrente, ma ogni accordo prevede una situazione di compromesso e quella raggiunta è l’unica possibile e assicura comunque una protezione legale al nostro prodotto. Ora i nostri produttori potranno utilizzare legittimamente la denominazione “Prosciutto di Parma” sul mercato canadese e investire sulla marca per sviluppare le esportazioni che attualmente si attestano intorno ai 70 mila prosciutti all’anno. E’ un risultato concreto e positivo del quale ci sentiamo di ringraziare il governo italiano, la Commissione europea e i parlamentari italiani a Bruxelles per l’impegno profuso in tutti questi anni.

Un grande mercato per la nautica

L'intervento di Carla Demaria, presidente Ucina Confindustria Nautica

 

L’industria italiana della nautica da diporto è protagonista indiscussa a livello mondiale, detenendo il primato sia in termini di export che di saldo commerciale con l’estero. Le entrate maggiori sono rappresentate dal comparto delle “Barche e yacht da diporto con motore entrobordo”, settore in cui il nostro paese detiene quasi un quarto dell’intero mercato mondiale. Gran parte della produzione italiana è diretta verso paesi extra europei: nel 2015 le vendite su questi mercati hanno rappresentato il 70,8 per cento dell’export complessivo del settore nautico. Tra i principali mercati extra europei, il Canada rientra nei primi 15 importatori delle imbarcazioni da diporto made in Italy. Per valore di import è il terzo mercato di sbocco per la cantieristica da diporto con 500 milioni di euro. Il prodotto barca è unico e rappresenta una vera e propria vetrina mobile in grado di veicolare nel mondo una grande varietà di prodotti, come il design e lo stile del made in Italy, la tecnologia, gli arredi, gli elementi tessili, e gli accessori. Leader in Europa e nel mondo, il settore della nautica da diporto assume, perciò, un ruolo di rilievo strategico per la diffusione del made in Italy a livello globale.

Un ottimo compromesso per l’Italia e l’Ue

L'intervento della Confederazione nazionale dell’Artigianato e della piccola e media impresa (Cna)

 

Riteniamo che il Ceta possa arrecare alle piccole imprese italiane, e all’intero sistema paese, più vantaggi che svantaggi. E possa avere importanti ricadute sulla crescita e sull’occupazione. Non è certo una conclusione affrettata, la nostra, né adottata per partito preso. Alcuni aspetti della bozza iniziale non ci convincevano, in verità, ma il risultato finale procede sulla falsariga del “win win”. Come Cna riteniamo che i vantaggi per l’Unione europea nella ratifica di questo partenariato strategico con il Canada possano essere più evidenti nei settori tradizionalmente di successo del Made in Italy. Ci riferiamo all’accesso di favore accordato ai prodotti agro-alimentari, a cominciare dai formaggi, che godranno di una quota aggiuntiva di 18.500 tonnellate. Non su tutti i fronti l’Italia ha ottenuto il successo pieno, certo, ma ha sempre raggiunto perlomeno un onorevole e soddisfacente compromesso. Pensiamo al mancato divieto di vendita ai prodotti con denominazioni canadesi ispirate a quelle originali (come il “parmesan”), controbilanciato però dal divieto di associarle a elementi di “italian sounding”, dal tricolore a immagini e monumenti italiani. E pensiamo al riconoscimento della tipicità a ben 41 indicazioni geografiche tipiche italiane su 172 denominazioni europee complessive. Tra le misure vantaggiose incluse nel Ceta, le piccole imprese italiane possono contare sull’eliminazione dei dazi (commisurati al valore monetario) relativi ai prodotti a base di zuccheri o di cacao così come su pasta, biscotti, frutta e verdura; sulla soppressione delle barriere tariffarie imposte a vini e liquori; in generale sull’abolizione dei dazi su prodotti trainanti le nostre esportazioni, come i macchinari industriali, i mobili, le calzature. Significativi per il sistema paese sono anche il riconoscimento delle regole di origine basate sugli standard europei e l’accesso all’80 per cento del mercato degli appalti pubblici di energia e servizi. Anche sul contestato punto del Ceta che riguarda la “risoluzione delle controversie tra investitore e Stato”, Infine, l’accordo raggiunto supera diverse critiche mosse in precedenza ai vecchi meccanismi arbitrali.

Un modello per altri accordi internazionali

L'intervento di Federico Desimoni, direttore generale del Consorzio Tutela Aceto Balsamico di Modena

 

Si è parlato molto del Ceta, spesso però non si è approfondito il contesto internazionale in cui questo accordo si pone. L’accordo porta vantaggi in termini di protezione giuridica a molte denominazioni europee fornendo un riconoscimento ufficiale di tutte quelle inserite nell’elenco riconosciuto dal Canada. L’Aceto balsamico di Modena è una di queste e, come le altre, una volta entrato in vigore l’accordo i produttori potranno contare su una nuova base giuridica che fornirà una tutela oggi non disponibile. Questo contesto, inoltre, introduce una novità non piccola: il riconoscimento di uno statuto proprio al concetto di Indicazione geografica, introducendo così un fattore culturale di non secondaria importanza. Non si può dimenticare il significato che l’accordo riveste all’interno della strategia negoziale internazionale. Per gli Stati Uniti rappresenta un “pessimo” precedente perché concede aperture non gradite ai paesi contrari alla tutela delle Ig, mentre per il futuro costituisce una base di riferimento per i negoziati in corso e per quelli all’orizzonte, penso a Cina, Giappone e Mercosur. Il Canada rappresenta l’ottavo mercato con quasi 3 milioni di litri, per un 3,17 per cento del totale e un 3,44 per cento dell’export. Il totale del fatturato dell’Aceto balsamico di Modena è di circa un miliardo e l’export in generale è del 92 per cento.

Un modo per ripartire dopo il flop del Ttip

L'intervento della Unione nazionale industria conciaria (Unic)

 

La conceria italiana guarda con favore al Ceta. Non potrebbe essere altrimenti. Unic è l’associazione confindustriale che rappresenta la pelle italiana: vale a dire un comparto da oltre 1.200 imprese con 17.612 addetti. Il fatturato estero della conceria italiana nel 2016 si è attestato a 3,8 miliardi di euro. Un’eccellenza mondiale. L’export italiano rappresenta il 68 per cento dell’export europeo di pelli finite verso paesi extra Ue e il 27 per cento di quello mondiale: due record. I paesi Nafta raccolgono l’8 per cento dell’export nostrano di pelli finite. L’Italia già opera in condizioni vantaggiose con il mercato canadese: non incontra dazi alla dogana ed è il primo paese esportatore di pelli finite verso Ottawa (25,1 milioni di euro nel 2016). L’industria della pelle opera su scala globale e si confronta, specie nell’approvvigionamento della materia prima, con protezionismi di varia forza e pervicacia. Unic ha già assistito con disappunto al naufragio dei negoziati per il Ttip. Per questo è favorevole al Ceta, malgrado l’accordo non abbia diretta incidenza sulle sue attività. L’estensione dei rapporti di libero scambio è la premessa necessaria per lo sviluppo del settore. L’approvazione del Ceta, allora, potrebbe rappresentare il punto di svolta affinché l’Unione europea arrivi a siglare altri accordi del genere.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali