Janet Yellen con Christine Lagarde (foto LaPresse)

Sbarazzarsi del debito è un miraggio. Lì c'è la leva della crescita

Andrea Terzi
Stagnazione mondiale, politica delle banche centrali e debito pubblico. Un'analisi sugli impedimenti che non permettono all'economia di crescere

Un elefante è nel salotto dell’economia mondiale. Si fa di tutto per ignorarlo, anche se è lì, grande, evidente. Impossibile non vederlo. E tuttavia, far finta che non ci sia è il modo migliore per non mettere in discussione le proprie convinzioni e non dover tradire i princìpi sui quali si sono presi impegni solenni. Eppure, il coraggio di affrontarlo potrebbe davvero restituire all’economia europea e mondiale la prosperità perduta. Le sembianze di quell’impedimento alla crescita tanto trascurato le esaminiamo più avanti. Vediamo prima quali sono i problemi di cui quotidianamente si parla. E il catalogo è questo.

 

La stagnazione mondiale. L’Eurozona è al palo. La Cina rallenta. I paesi emergenti sono in difficoltà. Gli Stati Uniti (per ora) tengono, ma la ripresa è la più debole e la più lenta dai tempi della Grande depressione. E nulla di tutto questo è l’inevitabile conseguenza degli eccessi passati. E’ soltanto il frutto del fallimento della politica economica.

 

La politica delle Banche centrali. Tutti gli occhi sono puntati sulla decisione che la Fed prenderà oggi. Ma le Banche centrali sembrano avere perso smalto e appaiono più deboli e incerte. Gli interventi eccezionali, e di dimensioni solo apparentemente imponenti, non sono stati in grado di imprimere una vera svolta. Ma almeno una cosa dovremmo averla imparata dal Quantitative easing: che quando le Banche centrali sono disposte ad acquistarlo, il debito dello stato di qualsiasi dimensione torna a essere sostenibile.

 

Il debito pubblico. Siamo appena usciti da sei lunghi mesi durante i quali il governo greco ha giocato l’inutile carta della cancellazione del debito spiegando ai propri creditori che da ciò avrebbero tratto beneficio la Grecia e l’Europa intera. Sappiamo come è finita. Ora si guarda già a chi altro potrebbe “finire come la Grecia”. E persino l’Agenzia federale del bilancio degli Stati Uniti vede una crescita preoccupante del debito pubblico americano. L’opinione pubblica è a tal punto indotta a pensare che del debito pubblico il mondo non si libererà mai, che ormai comincia a chiedersi se non sia meglio, in certi casi, decidersi a cancellarlo.

 

Ma eccoci al punto. Quel che nell’economia mondiale, e soprattutto europea, langue è la capacità di spesa delle famiglie, e siccome la spesa delle famiglie è il fatturato delle imprese, nemmeno le imprese se la passano bene. Al di là dei vari proclami sulle riforme strutturali, la spesa resta fiacca perché chi ha un reddito preferisce risparmiarlo. A poco o nulla serve giocare la carta della fiducia dipingendo il futuro di rosa e auspicando la ripresa. Chi spende poco lo fa perché non vuole consumare un reddito basso e incerto, o perché un flusso di reddito disponibile proprio non ce l’ha.

 

Il vero nodo è un altro. E’ che il risparmio è quasi ovunque al di sotto del livello desiderato. Ed è questo che frena la spesa. Come se ne esce? E come si fa a creare più risparmio al punto da indurre famiglie e imprese a sentirsi abbastanza sicure da riavviare una spirale virtuosa della spesa? La risposta è ovvia per chiunque rifletta per un solo momento in quali forme tutti noi risparmiano il nostro denaro: titoli di stato, conti correnti, certificati di deposito, contante, e altri strumenti finanziari. Si tratta, in ciascuno di questi casi, del debito di qualcun altro. La verità è sotto gli occhi di tutti: per ogni dollaro o euro risparmiato ci deve essere un dollaro o un euro di debito. Risparmio e debito sono legati nello stesso modo indissolubile di un acquisto e di una vendita. Nessuno si sognerebbe di dire che comprare è bene e vendere è male (o viceversa), visto che senza l’uno, l’altro non esiste. Allo stesso modo, se nessuno al mondo spende più del proprio reddito e il debito non cresce, nemmeno il risparmio potrà crescere. E’ piuttosto stravagante lodare le virtù del risparmio e condannare la colpa del debito, trattandosi di un solo inscindibile atto.

 

[**Video_box_2**]Le Banche centrali lo sanno bene. E difatti, hanno tentato di far crescere il credito bancario e cioè il debito privato. Nobile tentativo, che però assomiglia alla fatica di Sisifo. Perché anche ammettendo che il credito bancario acceleri, la lotta dichiarata al debito pubblico ne annulla gli effetti. Se quello privato cresce e quello pubblico cala, l’effetto di stimolo è zero. Ed è per questo motivo che le Banche centrali hanno tentato anche un’altra strada, quella dell’indebolimento del cambio per far crescere le esportazioni. Il che non significa altro che contare sul debito altrui. Ci hanno provato quasi tutti, più o meno occultamente, e quando lo ha fatto la Cina alla luce del sole i mercati sono andati in testa-coda. Se tutti vogliono solo esportare, e nessuno vuole più indebitarsi, l’economia mondiale si svilisce in un enorme gioco di rubamazzetto, dove ogni paese porta via un po’ di risparmio al vicino, ma le carte sono sempre le stesse. Che ci piaccia o no, il motore ultimo della spesa è il debito. E oggi stagnazione e disoccupazione indicano che debito e risparmio non bastano. Alla politica spetterebbe il compito di gestire il debito nell’interesse del tenore di vita reale dei cittadini. Non cancellarlo, né costringerlo in parametri di fantasia. Abbattere il debito? Cancellarlo? No, grazie. L’economia mondiale, e quella europea in primis, ha bisogno di più debito (e di più risparmio) per tornare a crescere.

 

 

Andrea Terzi è professore all'Università Cattolica del Sacro Cuore

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