Tina Anselmi (foto LaPresse)

Libera e combattiva, Tina Anselmi è stata e resta un esempio per la politica

Sergio Soave

Morta a 89 anni, fu la prima donna ministro italiana. Partigiana, sindacalista, democristiana e cattolica, si è sempre impegnata in battaglie pubbliche.

Tina Anselmi, la cui scomparsa ha suscitato cordoglio pressoché unanime, è stata una protagonista della vita politica anche se non ha mai cercato di affermarsi con battaglie personalistiche. Nella sua gioventù fu partigiana e poi organizzatrice sindacale, si occupò di due categorie, i tessili e gli insegnanti elementari, in cui la prevalenza era femminile e, forse anche per questo, la presenza cattolica risultava determinante anche dopo la scissione della Cgil e la fondazione della Cisl.

 

Da queste esperienze ha tratto la convinzione che l’ancoraggio popolare della Dc era la principale garanzia contro i rischi di integralismo e di derive antidemocratiche. Seguì il percorso e il magistero di Aldo Moro, ma a differenza dello statista barese puntò sempre a consolidare in riforme concrete l’aspirazione al rinnovamento e all’ascolto delle spinte contestatrici. Alla sua azione si devono leggi assai importanti, da quella sulle pari opportunità a quella di istituzione del servizio sanitario nazionale. Il filone politico al quale apparteneva puntava a una competizione con la sinistra marxista, assai aspra negli anni del centrismo, più manovrata in quelli del centrosinistra, basata sulla capacità di fornire risposte alle rivendicazioni popolari nell’ambito di una difesa delle istituzioni democratiche e delle libertà economiche.

 


 

 


 

L’altro fronte da presidiare era quello del carattere popolare della Dc, insidiata, soprattutto dopo tanti anni di esercizio del potere, da ambienti affaristici e, in qualche caso, da pulsioni che tendevano a contrastare l’apertura di nuove prospettive politiche anche col ricorso a corpi dello stato, come era sembrato potesse accadere durante la crisi del 1964. E’ probabilmente per il riconoscimento di questa fermezza democratica che Nilde Jotti, da presidente della Camera, propose a Tina Anselmi di guidare la commissione di indagine sulla loggia P2. L’enfasi mediatica e l’uso politico che vennero fatte di quella vicenda, dilatandone il senso fino a evocare l’idea di un antistato occulto in grado di condizionare o addirittura orientare le scelte politiche fondamentali, misero Tina Anselmi in una posizione di visibilità eccezionale, che cercò di gestire con sobrietà, anche se non ci riuscì sempre del tutto.

 

Pur con qualche ombra, com’è ovvio che accada a chi si impegna nelle battaglie pubbliche, l’immagine e la memoria che ci rimangono della prima donna che ha ricoperto un incarico ministeriale in Italia, è quella di una persona libera, capace e combattiva. Il tratto prevalente della sua personalità era la semplicità, che non va confusa con il semplicismo. Puntava sempre a identificare l’essenza dei problemi, a verificare gli schieramenti che si determinavano attorno alle scelte possibili, per poi giungere a una decisione concreta. Non ha mai coltivato l’arte soporifera del rinvio, si è sempre assunta le responsabilità delle scelte, cercando naturalmente di ottenere una coerenza tra le singole azioni e la sua specifica ispirazione cristiana, popolare e antifascista.

 

Sembra che proprio queste caratteristiche, legate a una fase storica ancor connotata dalla lotta contro le ideologie autoritarie, collochino la sua figura in un Pantheon che suscita rispetto ma che non influisce sulla formazione delle opinioni e degli orientamenti in una situazione tanto diversa. In parte, ovviamente, è così. Però la saldatura tra esigenze popolari, rivendicazioni femminili, coscienza democratica e la ricerca di soluzioni riformistiche, realiste e capaci di reggere nel tempo, che è il tratto fondamentale della presenza politica di Tina Anselmi ha ancora un senso e rappresenta un esempio anche per la politica di oggi.

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