La volontà di punire

Maurizio Crippa

Il Caso, la tragedia, l’amore. Ma nel delitto “stradale” di Vasto c’è anche altro: il populismo vendicativo

Aspettare Italo D’Elisa, vent’anni, fuori dal bar Drink Water in via Perth, a Vasto. Dirgli qualcosa. Sparargli tre colpi in pancia. Lasciare la pistola dentro una busta di plastica sulla tomba della moglie, Roberta Smargiassi, trentaquattro anni. Pensarci un po’ su. Costituirsi qualche ora dopo. Fabio Di Lello, trentacinque anni, s’è preso la sua vendetta. O si è fatto giustizia. O ha interpretato stricto sensu la lettera della legge che recita “omicidio stradale”. Italo D’Elisa, qualche mese fa, era passato col rosso e aveva investito Roberta Smargiassi, che passava con lo scooter. Lei era morta. Fabio Di Lello andava sempre sulla sua tomba. O forse è la tragedia di un amore spezzato. Ne capitano, signora mia, di tragedie così. Non mette conto parlarne. Il procedimento contro Italo D’Elisa era chiuso, fissata l’udienza del gup. C’era stata una campagna d’odio contro di lui, dice il suo avvocato. Italo D’Elisa aveva avuto dai magistrati il premesso di usare la moto. Girava in città, faceva lo smargiasso, dice qualcuno. Vasto è meno nevosa di Minneapolis. Ma il deserto d’odio, il regolamento di conti, la mancanza di senso. Il Caso. La logica della vendetta, l’ossessione. Fanno rabbrividire come in Fargo (non la serie, più il film dei fratelli Coen). Italo D’Elisa era colpevole? Niente precedenti, niente omissione di soccorso, non guidava in stato di ebbrezza. Avrebbe probabilmente schivato il carcere. Non mette conto parlarne. Fabio Di Lello è colpevole. Ma precisamente, di cosa? Di omicidio, certo. Ma per vendetta? Per giustizia? Per amore?

 

Qualcuna di queste attenuanti – che nel codice non ci sono – gli interpreti della legge gliela riconosceranno. C’è già molta gente che gli dà ragione. Ma c’è un aspetto che sfugge, perché sta sotto gli occhi, come la lettera di Poe. Fabio Di Lello ha tirato alle estreme conseguenze una logica. La logica di un risarcimento extra legem, morale, psicologico (la psicologia è il sostituto postmoderno della morale). Anzi, le conseguenze di un bisogno di punizione avvertito e collettivo, a cui la sola legge non sa dare risposta. Un membro dell’Associazione familiari vittime della strada ha scritto a un giornale: “La tragica conseguenza di una giustizia lenta… non si arriverebbe a tali gesti estremi come a Vasto”. Quindi non è omicidio, è tragica conseguenza dell’inefficacia della legge a punire. Ma questo si chiama populismo penale, lo stesso visto all’opera qualche giorno fa, con esiti solo apparentemente meno cruenti, a Viareggio. Il populismo penale è “la volontà di punire” indagata in un libro di Denis Salas, ricordato da Luigi Ferrarella sul Corriere a proposito di Viareggio. Alla volontà di punire s’aggiunge qualcosa di più inquietante.

 

“Italo D’Elisa non ha mai chiesto scusa, non ha mostrato segni di pentimento”, ha detto l’avvocato di Fabio Di Lello. Non ha chiesto scusa. Avrebbe dovuto? Non è una categoria giuridica. Almeno, usciti dal Medioevo in cui non vigeva la legge laica ma quella della chiesa, descritto da Michel Foucault. Quando “se il condannato era presentato in pentimento, accettando il verdetto, chiedendo perdono a Dio e agli uomini dei suoi delitti, lo si vedeva purificato”. C’è qualcosa di peggio della vendetta, è il populismo penale. C’è qualcosa di peggio del populismo penale, è la pretesa che il colpevole – tornato al rango ferino di nemico – si penta, chieda perdono. Tutto questo Fabio Di Lello non l’ha pensato. Ma è colpevole di questo.

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"