Il centro d’accoglienza di Cona dove è scoppiata una rivolta (foto LaPresse)

La rivolta del centro d'accoglienza di Cona e la manipolazione delle parole

Daniele Scalea

Schengen nella mitologia odierna è divenuta la messa al bando della parola “frontiera” in Europa. In realtà il Trattato intendeva solo spostare i confini più in là, all'esterno dell'Ue

La rivolta degli ospiti del centro d'accoglienza di Cona, in provincia di Venezia è stata descritta in vari modi dalla stampa italiana: i venticinque tra operatori del centro e medici sono stati “assediati” (Corriere) o “bloccati” (Repubblica, Fatto, Unità) dai richiedenti asilo in rivolta, che li hanno costretti a barricarsi negli uffici. Secondo il Codice Penale (art. 605) e la glossa della Cassazione (sentenza 18186 del 4 maggio 2009) quando si priva qualcuno della libertà personale, intesa come “libertà di muoversi nello spazio e cioè come libertà di locomozione”, si configura il reato di sequestro di persona, punito con la reclusione da 6 mesi a 8 anni. Le agenzie riportano che le forze dell'ordine non hanno proceduto a nessun fermo né denuncia.

Ciò che preme qui indagare, tuttavia, non è l'operato di polizia e carabinieri, bensì lo strano pudore che gran parte della stampa italiana ha mostrato nell'evitare di usare il termine “sequestro” - malgrado esso si attagli decisamente alla situazione descritta. Se per ipotesi, a seguito d'un caso di malasanità in Italia, i congiunti d'una vittima avessero preso in ostaggio l'ala di un ospedale, l'atteggiamento dei giornalisti sarebbe stato egualmente pudico e giustificazionista? Difficile a dirsi, ma colpisce la scelta astuta delle parole per minimizzare le responsabilità dei richiedenti asilo.

Del resto la difesa a oltranza dell'accoglienza senza limiti si fa notare come il tema prediletto dalla narrazione dominante – anche se ciò comporta talvolta qualche disonestà intellettuale. Pochi giorni fa è andato in onda il grande show savianeo di fine anno. Nella sua geremiade contro l'Europa che costruisce muri, l'intellettuale napoletano ha richiamato il Trattato di Lisbona. Lo ha fatto citando gli articoli 61 e 63, di cui ha proiettato brevi stralci. Uno, dall'art. 61, cita l'impegno a sviluppare "una politica comune in materia di asilo", ma è tranciato da un omissis per nulla innocente. La frase continua infatti con "immigrazione e controllo delle frontiere esterne", ma l'inciso – stonante con l'argomentazione generale di Saviano – è stato arbitrariamente espunto. Innocente non è nemmeno la scelta di omettere l'art. 62, che certo non può essere sfuggito trovandosi proprio là, nel mezzo tra i due invocati. In quest'articolo si legge: "L'Unione sviluppa una politica volta a [...] garantire il controllo delle persone e la sorveglianza efficace dell'attraversamento delle frontiere esterne".

Con involontaria ironia, Saviano ha proseguito il proprio monologo unendosi alla grande crociata contro le fake news, la quale ottiene i suoi primi risultati nei social, consegnando a organismi partigiani e inaffidabili il compito di decretare ciò ch'è “vero” e ciò ch'è “falso”.

Tagliare e ricucire a piacimento i trattati non è una novità introdotta da Saviano. Quante volte certi commentatori hanno tirato in ballo Schengen per criticare l'idea di limitare l'immigrazione in Europa? Scordandosi che quegli accordi non cancellavano le frontiere interne con una bacchetta magica, ma semplicemente le spostavano all'esterno, a un unico confine comune (art. 17 della Convenzione). Non a caso gli accordi di Schengen sono pieni di riferimenti alla lotta all'ingresso e soggiorno irregolare di persone, al contrasto all'immigrazione clandestina, ai controlli alle frontiere esterne, al fatto che privilegi spettano ai cittadini europei (artt. 3, 5, 6 della Convenzione, artt. 1, 3, 7 e 9 dell'Accordo). Eppure Schengen nella mitologia odierna è divenuta la messa al bando della parola “frontiera” in Europa, e non solo per gli europei ma per tutti gli abitanti dell'universo mondo.

Che si tratti dei giornali mainstream o dei sermoni a reti unificate del papa laico del politicamente corretto, quest'anno è cominciato all'insegna della manipolazione della lingua e dei documenti, in un modo che un fact-checking reale, imparziale e oggettivo non farebbe passare indisturbato. Benvenuti nel nuovo anno – benvenuti nel millenovecentottantaquattro.