Jean-Luc Melenchon in campagna eletorale a Bennes (foto LaPresse)

Non c'è nulla di freddo nella vendetta di Mélenchon, il ribelle di Francia che sente la primavera

Paola Peduzzi

Lui e Macron sono il risultato della stessa crisi della sinistra, verso il centro ci sono le riforme macroniane e verso l’estremo ci sono le tasse al 100 per cento per i ricchi, la via di mezzo è stata spazzata via. Anzi il leader di "France insoumise" punta dritto all’elettorato di Le Pen

"La primavera è arrivata”, dice Jean-Luc Mélenchon, “e non ho mai dubitato che voi ci sareste stati”, ha aggiunto rivolto ai suoi sostenitori che sono pronti, prontissimi, a fare questa rivoluzione popolare contro i partiti tradizionali francesi, contro la Quinta repubblica, contro i nemici personali del leader della France insoumise. Nella Francia che si prepara alle elezioni continuando a sussurrarsi con una certa ansia “mai accaduto prima”, Mélenchon è l’ultima sorpresa di una campagna inedita: dopo aver sorpassato nei sondaggi l’odiatissimo Partito socialista, ora insidia anche il debole candidato della destra gollista François Fillon – anzi, secondo una rilevazione di ieri l’avrebbe superato. Di un soffio, certo, all’interno degli ormai temutissimi “margini d’errore”, ma in questo soffio c’è la storia di questa campagna elettorale e soprattutto della Francia, alla quale tutti guardiamo con un misto di terrore e speranza cercando risposte anche su noi stessi.

 

Mélenchon si nutre del caos, diventa più forte nel caos, “l’avevo scritto venticinque anni fa in un libro dal titolo premonitore”, ha ricordato sornione domenica in un’intervista al Journal du dimanche: si chiamava “À la conquête du chaos”, ed è la sintesi di quel che sta accadendo oggi, il caos, la conquista del caos e, chissà, altro caos.

 

Mélenchon non si pone il problema, o almeno non lo fa oggi, e quando tutti attorno a lui parlano di riunirsi, di curare le ferite, di solidarietà reciproca, di fronte comune contro il pericolo lepenista, lui risponde che no, non ci pensa affatto: non vuole riunire nulla, se non “federare il popolo francese”. Riunire con chi poi, con i socialisti con cui litiga da sempre? Il corteggiamento c’è stato, Benoît Hamon ha tentato ogni avance possibile, ma Mélenchon è stato irremovibile: Hamon “è una brava persona”, secondo il candidato di France insoumise (c’è commento più deprimente di questo?), ma una lotta nella sabbia per acciuffare “un unico sasso” non ha senso, non certo per un politico che ha quasi raddoppiato i suoi consensi nel giro delle ultime quattro settimane. Il Partito socialista è un parcheggio di zombie, “se si dice ’sinistra’ si pensa a Hollande e viene la nausea, viene anche a me la nausea”, non si può formare un’alleanza, non si poteva prima e certamente non si può più ora.

 

Mélenchon si gusta la sua vendetta, che non è nemmeno così fredda, e dice di non aver nulla da perdere, di essere credibile perché ha sessantacinque anni e la sua carriera l’ha già fatta, la gente è stanca di parlare di ambizioni personali, è stanca della voracità egoriferita, Mélenchon si sente più distaccato, più lucido, con i suoi tanti anni durante i quali ha imparato ad assestare i colpi giusti, quando servono. Lui ed Emmanuel Macron sono il risultato della stessa crisi, quella della sinistra, verso il centro ci sono le riforme macroniane e verso l’estremo ci sono le tasse al 100 per cento per i ricchi, la via di mezzo è stata spazzata via, e anzi Mélenchon punta dritto all’elettorato di Marine Le Pen, la Francia impoverita che non si sente più rappresentata dai suoi politici. Ci sono 10-15 milioni di persone che non hanno ancora preso una decisione, stima Mélenchon, e che possono infine rimanere affascinati da un uomo che è in politica da sempre ma da sempre si ribella con il suo progetto “che è un mix tra République, ecologismo e socialismo”.

 

Il rosso e il nero s’attraggono, quando si parla di politica internazionale – la Russia, l’uscita dalla Nato – la Le Pen e Mélenchon s’assomigliano molto, e pure sull’Europa ci sono comunanze, visto che la France insoumise vorrebbe accompagnare i francesi fuori dai trattati europei. I due sottolineano le differenze, non amano essere accomunati, ma quando si fanno proiezioni, a tre settimane dalle elezioni, si può anche arrivare a pensare che il rosso e il nero finiscano per sfidarsi, uno contro l’altro, il centro sbattuto via, un voto tutto populista, cannibale anche, ma che importa, per il cultore del caos a caccia di una vendetta non ci sarebbe riscatto più glorioso.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi