Un murales a Roma che raffigura un bacio tra Donald Trump e Papa Francesco (foto LaPresse)

Francesco e Trump, l'incontro fra populisti che hanno tanto in comune

Opinioni da oltreoceano sull'udienza di mercoledì in Vaticano

New York. La rappresentazione di Donald Trump come anti Papa e del Papa come anti Trump compiace chi vuole arruolare Francesco nella schiera dei leader liberali, facendone un equivalente ecclesiastico di Merkel, Obama o di un Macron, in radicale contrasto con un illiberale sboccato che governa la più grande potenza del mondo con l’istinto e Twitter. Il Papa dell’accoglienza, dei migranti, degli ultimi non può che essere agli antipodi del miliardario confuso che parla di muri e restringe i termini dell’immigrazione nella nazione di santa Francesca Cabrini. Fra Santa Marta e la Trump Tower c’è un abisso, non solo stilistico. Secondo queste premesse, la visita di mercoledì è un incontro ravvicinato del terzo tipo, un summit a rischio esplosione mitigato soltanto da una graziosa lettera privata della cattolica Melania e da un Papa che con parresia ascolta anche l’interlocutore più lontano “senza pregiudizi”, come ha detto di ritorno da Fatima.

 

Le differenze, ingigantite dalla stampa, non devono però ingannare. Sotto la superficie ci sono analogie e similitudini che rendono l’incontro meno marziano di quanto potrebbe sembrare. Rusty Reno, direttore del mensile First Things, un centro nevralgico del pensiero cristiano fondato da Richard John Neuhaus, è un sostenitore a naso turato di Trump che dopo quattro complicatissimi mesi di governo è ancora convinto che il presidente sia meglio dell’alternativa. Reno spiega al Foglio che Trump e Francesco hanno molto in comune. “Entrambi si presentano come populisti, nel senso che parlano direttamente al popolo e in nome del popolo aggirando le strutture e i protocolli tradizionali. Sono estremamente critici verso i rispettivi establishment, e basta pensare al discorso durissimo del Papa alla curia romana poco prima di Natale per avere un esempio della sua ruvidità verso la gerarchia. Hanno una retorica molto diversa ma accomunata da un tono molto terra terra e concreto, senza giri di parole e intellettualismi, hanno la tendenza a dire cose controverse parlando a braccio, entrambi sono complicatissimi da gestire per i loro portavoce”, dice Reno. Gli incontri di questo genere di rado permettono incursioni sulla sostanza politica, si rimane nella dimensione simbolica, che però in questi casi è già di per sé un fatto politico: “Sia Trump che il Papa hanno qualcosa da guadagnare da questo incontro, uno in termini di prestigio e di credenziali, l’altro per riconfermarsi come uomo del dialogo. Chi parla di chissà quali tensioni e trappole prende un abbaglio”.

 

“Dipingerli come opposti è una frenesia ispirata dai media”, spiega Thomas Williams, corrispondente di Breitbart da Roma: “Trump è molto più vicino alle posizioni della chiesa di quanto non fosse Obama, e i due hanno diversi punti in comune. Entrambi sono pro life, difendono la libertà religiosa, sono non soltanto sensibili alle sofferenze dei cristiani in medio oriente ma sono pronti a dialogare con qualunque interlocutore per alleviare le loro sofferenze. Trump ha dichiarato di recente il suo sostegno alle Piccole sorelle dei poveri, costrette a violare la loro coscienza dal mandato dell’Obamacare per svolgere la loro missione di carità. Sono punti di divergenza enormi rispetto al suo predecessore alla Casa Bianca”. Nemmeno sull’immigrazione Williams vede un gap incolmabile: “E’ più complicato di quanto si creda. La retorica semplificata del muro contro il ponte ci ha annebbiati, facendoci perdere di vista che il Papa riconosce il diritto degli stati di difendere i loro confini e favorisce l’immigrazione legale e regolata, non è per le aperture indiscriminate”. Dove invece non ci può essere una linea comune è sui cambiamenti climatici, anche se, nota Williams, “Trump aveva promesso di uscire dall’accordo di Parigi, ma per il momento non l’ha fatto. Su questo tema sarà certamente importante l’influenza di Ivanka”. Sul tavolo pesa anche la situazione dei cattolici americani. Il 58 per cento dei fedeli ha votato per Trump, e una parte di questi lo ha fatto innanzitutto per la nomina di un giudice alla corte suprema gradito. Con la scelta di Neil Gorsuch, Trump ha mantenuto la promessa in grande stile. Per sovrammercato, è arrivata anche la lotta al Johnson Amendment, che impediva agli istituti religiosi di fare attività politica, e la revoca della politica di città del Messico per sottrarre fondi americani all’aborto a livello internazionale. “I cattolici che hanno votato Trump – spiega Williams – sono conservatori, significa che danno la priorità ai temi pro life e alla libertà religiosa. Secondo questi criteri, hanno ottime ragioni per essere soddisfatti del presidente”.

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