Giovanni Paolo II in una foto del 2004 (LaPresse)

L'ipotesi di cassare la riforma di Wojtyla contro i preti pedofili

Matteo Matzuzzi

Nel 2001 mentre lo scandalo pedofilia scuoteva la chiesa americana, Giovanni Paolo II promulgò il motu proprio Sacramentorum sanctitatis tutela

Roma. Il settimanale britannico The Week ha pubblicato nei giorni scorsi un documentato articolo in cui si sostiene che è in avanzata fase di studio, in Vaticano, l’ipotesi di affidare alla congregazione per il Clero l’autorità di indagare sui casi di abuso sessuale da parte di ecclesiastici. A rimetterci, secondo tale progetto, sarebbe la congregazione per la Dottrina della fede, che si vedrebbe spogliata così delle sue attuali facoltà in materia. Un ritorno al passato, più che una novità. Era il 2001: lo scandalo pedofilia scuoteva la chiesa americana, con chiari riflessi romani. Le denunce erano all’ordine del giorno, la grancassa mediatica cingeva d’assedio San Pietro. Un anno dopo, Giovanni Paolo II accettò le dimissioni dell’allora arcivescovo, il cardinale Bernard Francis Law, che poi sarebbe stato nominato arciprete di Santa Maria Maggiore. Per arginare la marea montante, il Papa promulgò il motu proprio Sacramentorum sanctitatis tutela: all’ex Sant’Uffizio (guidato dal cardinale Joseph Ratzinger) veniva dato pieno mandato di investigare sui casi che giungevano in Vaticano, sottraendo poteri ai vescovi locali. Pochi mesi dopo, fu promulgata dalla Dottrina della fede l’istruzione De delictis gravioribus, che chiariva le procedure da attuarsi. La linea ispiratrice della riforma era semplice: accentrare il più possibile per evitare gli insabbiamenti così diffusi a livello periferico, con le denunce di abusi da parte di sacerdoti che come conseguenza (il più delle volte) avevano il semplice trasferimento del colpevole da una parrocchia all’altra. Riforme che il Papa, scrive Michael Brendan Dougherty, sarebbe intenzionato a rivedere, riportando in gioco la congregazione per il Clero, dove il prefetto è il fidato cardinale Beniamino Stella, con il quale l’intesa è di gran lunga migliore rispetto a quella con il titolare dell’ex Sant’Uffizio, il cardinale Gerhard Ludwig Müller. Francesco di recente – prosegue The Week – ha richiesto un parere circa la fattibilità del piano al Pontificio consiglio per i testi legislativi, guidato dal cardinale Francesco Coccopalmerio. Il responso è stato positivo.

Il problema è che, s’osserva oltretevere, ripristinare una situazione che ha già dimostrato tutte le sue lacune si scontrerebbe con la severità che il Pontefice va sottolineando ogniqualvolta si sofferma sulla piaga degli abusi sessuali su minori da parte di membri del clero (da ultimo, l’ha fatto nel messaggio per la festa dei Santi Innocenti, a fine dicembre). Basti considerare la decisione, del 2015, di sanzionare per “abuso d’ufficio episcopale” i vescovi che non danno seguito alle denunce di violenza a carico di ecclesiastici. Ad avvertire circa i rischi che si corrono con un ritorno al passato c’ha pensato il cardinale William Levada, prefetto della congregazione per la Dottrina della fede dal 2005 al 2012. Intervistato dal National Catholic Register, il porporato – pur non entrando nel dettaglio delle indiscrezioni romane – ha sottolineato che “l’esperienza che la congregazione ha nell’implementazione del motu proprio di Giovanni Paolo II dovrebbe favorire la scelta di continuare così”, lasciando cioè le cose come stanno.

  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.