Papa Francesco a Cracovia per la Giornata Mondiale della Gioventù (foto LaPresse)

Guerra di religione, ma non per il Papa. La chiesa dopo Rouen

Matteo Matzuzzi
Il Grande imam di al Azhar dice quello che il Papa tace: l’islam c’entra eccome con gli attentati.

Roma. “Quando io parlo di guerra, parlo di guerra sul serio, non di guerra di religione, no. C’è guerra di interessi, c’è guerra per i soldi, c’è guerra per le risorse della natura, c’è guerra per il dominio dei popoli: questa è la guerra. Non è una guerra di religione. Tutte le religioni vogliono la pace. La guerra la vogliono gli altri. Capito?”. Papa Francesco non stava parlando ex cathedra né stava intrattenendo un dotto parterre di luminari professori di qualche università centroeuropea, ma più semplicemente si rivolgeva a settanta giornalisti a bordo d’un aereo in volo verso Cracovia, patria di Giovanni Paolo II e sede della Giornata mondiale della gioventù che si chiuderà domenica. Richiesto d’un commento da padre Lombardi, portavoce, su “quello che è successo ieri” – e cioè lo sgozzamento sull’altare di un prete ottuagenario che s’era rifiutato di inginocchiarsi davanti a due terroristi che urlavano “Allahu Akhbar” – Francesco ha osservato che “questo santo sacerdote, che è morto proprio nel momento in cui offriva la preghiera per tutta la chiesa, è uno; ma quanti cristiani, quanti innocenti, quanti bambini… Pensiamo alla Nigeria, per esempio. E’ guerra. Non abbiamo paura di dire questa verità: il mondo è in guerra, perché ha perso la pace”. Non una parola di più, se non riperticare ancora una volta la teoria della terza guerra mondiale a pezzi.

 

Se il vescovo di Roma non concede neppure un accenno all’elemento religioso, neppure sul martirio di padre Jacques Hamel, a farlo è per paradosso la massima autorità sunnita del pianeta, il Grande imam di al Azhar, che ieri ha tuonato contro “il pensiero estremista” insito nella religione islamica. Ahmed al Tayyeb nomina l’islam, a differenza del cardinale Jean-Louis Tauran (responsabile vaticano del dialogo interreligioso) che liquida la questione dicendo che “siamo davanti al nulla e portare tutto sul piano religioso non ha alcun senso”.

 

Il messaggio del Grande imam di al Azhar è chiaro: “Coloro che hanno compiuto questo selvaggio attacco sono privi di qualunque senso di umanità e di tutti i valori e princìpi di tolleranza islamica, che invitano alla pace e alla prevenzione del sangue degli innocenti, senza distinzione alcuna di religione, colore, genere o appartenenza etnica. L’islam ordina di rispettare i luoghi sacri e di culto e la sacralità dei non musulmani”. Da qui l’appello affinché “si intensifichino gli sforzi e le iniziative comuni per fronteggiare il cancro del terrorismo che minaccia ormai il mondo intero, distrugge anime innocenti e mette a rischio la pace mondiale”. Confermata la volontà di al Azhar di continuare “il cammino di lotta contro il pensiero estremista, riformando il lessico usato in religione fino a quando il terrorismo non verrà strappato definitivamente dalle sue radici e saranno prosciugate le sue fonti”.

 

Nella chiesa cattolica si riaffaccia la divisione che già era emersa dinanzi ai massacri nel vicino e medio oriente, praticati dalle milizie califfali, infarcite di tanti giovani europei pronti a perdere la propria testa pur di tagliarne altre in nome dell’ideologia cui hanno dichiarato fedeltà – quelli che per lo storico Alberto Melloni “sono solo dei banali consumatori di pornografia religiosa e di Captagon”, che però hanno tutto il tempo per pianificare attentati nel cuore d’Europa e per scegliersi gli obiettivi da colpire per rendere epiche le proprie gesta.

 

Se a Roma si richiamava alla prudenza, bilanciando ogni parola per il pur comprensibile obiettivo di non mettere ancora di più a repentaglio la sopravvivenza delle già stremate comunità cristiane della piana di Ninive e della Siria – la lezione dei vescovi olandesi che sotto il Nazismo osarono con coraggio denunciare le retate delle Ss ad Amsteradam e per questo finirono in campo di concentramento – le gerarchie episcopali locali erano in prima fila nel parlare di genocidio (con rare eccezioni) e nel condannare il marchio fondamentalista islamico presente nell’epurazione dei cristiani. La diplomazia vaticana – vuoi per insistere sulla strada della “condanna al dialogo” (ancora definizione del cardinale Tauran), vuoi per evitare di condannare le chiese d’Europa e di Siria a subire assedi e attentati quotidiani, già triste routine nell’Africa subsahariana e in larga parte dell’Asia – si limitano alla condanna della “violenza insensata”, del sempre opportuno “orrore” o della classica “follia”.

 

Chi va al sodo e poco bada a perbenismo e politicamente corretto è Pascal Gollnitsch, monsignore francese e direttore dell’Opera vaticana per i cristiani d’oriente, che in un’intervista a Les Echos all’indomani dello sgozzamento del sacerdote dI Saint-Etienne-du-Rouvray di auspica “la neutralizzazione dello Stato islamico”. Si presume con ogni mezzo. “Il mio appello – dice – non è ovviamente in contrasto con il loro (dei vertici d’oltretevere, ndr) messaggio di perdono e di amore che condivido. Ma a ogni attentato ci ricordiamo che questi tragici eventi sono supportati dall'organizzazione dello stato islamico. Ed è contro di lei, contro questa organizzazione che dobbiamo agire per porre fine a queste atrocità. Lo Stato islamico deve essere neutralizzato.

 

Intanto mi domando: perché le sue reti di comunicazione, tra cui Internet, non sono ancora neutralizzati? Questo è uno dei mezzi attraverso i quali lo Stato islamico trasmette la sua propaganda e talvolta l’unico contatto che le persone hanno con esso prima di agire. Inoltre, bisogna chiudere definitivamente il confine turco-siriano attraverso il quale molti jihadisti e candidati jihad passano”. Anche qui, nessun accenno a guerre per soldi e potere, nell’analisi di mons. Gollnitsch, ma realismo politico: “Viene detto che l’Isis sta perdendo terreno, ma è una perdita relativa. Sulla riva sinistra del Tigri, nella piana di Ninive, non un metro quadrato di questa zona vede più presente un insediamento cristiano. I cristiani sono tutti stati cacciati o uccisi e nessuna comunità precedente allo Stato islamico è stata recuperata negli ultimi due anni. Eppure, lo Stato islamico in quell’area non rappresenta un notevole potere. Basterebbe un quarto dei diecimila soldati dell’operazione Sentinel annunciata da Hollande per neutralizzare l’Isis in Iraq e Siria”.

 

 

 

  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.