Conferenza stampa sulla morte di Giulio Regeni (foto LaPresse)

La polemica velenosa scatenata dal Nyt sul caso Regeni

Massimo Bordin

“Le prove schiaccianti”, di cui molto si parla negli articoli italiani, nell’articolo del Nyt si limitano alla certezza che Al Sisi sapesse come erano andati i fatti, al di là di una eventuale responsabilità sua personale o del governo

Capita di sbagliare anche ai migliori, figuriamoci a chi scrive questa rubrica. Complice il caldo e la fretta della vigilia di Ferragosto, l’altro ieri qui si è caduti sulle date. Prodi ebbe 10 mila voti nelle “quirinarie” grilline del 2015 e non del 2013. L’errore commesso inficia una considerazione che seguiva ma non, per fortuna, il senso generale del corsivo. Mi scuso e posso solo promettere che “i prossimi errori saranno diversi”.

  

Intanto le polemiche di Ferragosto impazzano e una, innescata dal New York Times, è particolarmente velenosa. Due aspetti però possono far riflettere, al di là della inevitabile smentita di Palazzo Chigi. Se è vero il racconto del duro confronto fra il capo del dipartimento di stato John Kerry e il suo omologo egiziano a proposito dell’uccisione di Giulio Regeni, se ne può dedurre che, sulla vicenda, quell’Amministrazione Usa fu molto più solidale col nostro paese della totalità dei nostri partner europei, singolarmente o unitariamente considerati. D’altro canto però “le prove schiaccianti”, di cui molto si parla negli articoli italiani, nell’articolo originale si limitano alla certezza che Al Sisi sapesse come erano andati i fatti, al di là di una eventuale responsabilità sua personale o del governo. Non sarebbe comunque poco ma avrebbe bisogno di un qualche riscontro per essere utile. Altrimenti di quelli che sanno ma non hanno le prove o dei teorici del «non poteva non sapere» già abbondiamo senza bisogno di andarli a cercare oltreoceano.