Giuseppe Graviano

Finirono “tutte cose”, dice Graviano. Tranne il processo sulla Trattativa

Massimo Bordin

Le stragi erano finite per un motivo evidente e assai più lineare di una improbabile trattativa con lo stato. Arrestarono gli stragisti

E’ un dettaglio, un inciso all’interno della fluviale intercettazione di Giuseppe Graviano, ma ha la sua importanza, eccome se ce l’ha. Premesso che l’attendibilità di un capo mafia che parla sapendo di essere intercettato è comunque relativa, proprio negli incisi nel discorso qualcosa si può forse trovare. “Mi arrestarono e finirono tutte cose”. Dove “tutte cose” sta per l’attività cui Graviano si era dedicato nei due anni precedenti il suo arresto all’inizio del 1994: le stragi. I suoi uomini erano il nerbo della paranza dei bombaroli e dopo l’arresto del capo venne preso anche il suo luogotenente Spatuzza.

 

Ci sarebbe voluto del tempo per riorganizzarsi e intanto era sorto un problema, Provenzano di bombe non ne voleva più sapere. “E allora vossia si mettesse un cartello con scritto ‘Sono contrario alle stragi’ e ci girasse paese paese”. Così, racconta un pentito, gli rispose il cognato di Riina, l’assai brusco Leoluca Bagarella, altro capo stragista, che però pochi mesi dopo fu arrestato anche lui. Restavano solo i fratelli Brusca e i loro fedelissimi di S.Giuseppe Jato. Finirono in galera un anno dopo. La paranza stragista, mai riorganizzatasi, era sgominata. Le stragi erano finite per un motivo evidente e assai più lineare di una improbabile trattativa con lo stato. Li arrestarono e finirono “tutte cose”. Ma il grande processo non può finire. C’è da scommettere che alla ripresa autunnale il nuovo anno processuale sarà impostato sugli oscuri aspetti, ce ne sono sempre in questi casi, dell’arresto di Giuseppe Graviano.

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