Anche la Corte europea condanna la gogna delle intercettazioni

Massimo Bordin

Confermate due condanne per aver pubblicato documenti segreti: il diritto all'informazione non può prevalere sulla privacy e sul corretto funzionamento della giustizia

Sono due sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo, ravvicinate nel tempo, la prima del 1 giugno, la seconda cinque giorni dopo. Riguardano l’informazione su due vicende molto diverse. Da un lato una lite patrimoniale sfociata in una denuncia per circonvenzione di incapace, dall’altro un caso di pedofilia. In entrambi i casi erano state comminate sanzioni economiche per violazione del segreto di indagine per aver pubblicato atti giudiziari non pubblici. Il ricorso dei condannati è stato respinto dalla corte europea sia nel caso del settimanale francese Le Point e un suo articolo su Liliane Bettencourt e il patrimonio de L’Oreal che in quello del meno noto settimanale svizzero-romando L’illustré per una intervista al padre di una vittima di pedofilia. La corte ha confermato le condanne ritenendo che in entrambi i casi il diritto alla informazione e alla libertà di stampa non possano prevalere sulla privacy delle persone imputate e sul diritto dei cittadini a un corretto funzionamento della giustizia. Le sentenze modificano la giurisprudenza della corte soprattutto grazie alla seconda motivazione che riguarda il funzionamento del processo penale. I sette magistrati europei, presidente un tedesco, innovano su un punto fondamentale penalizzando la violazione a mezzo stampa del segreto investigativo come danno non solo alle parti in causa ma al buon andamento della giustizia. È una sentenza europea ma, come ricordava l’avvocato Cataldo Intrieri nella sua arringa ai giudici del processo Mafia Capitale, dobbiamo abituarci a superare il “piccolo mondo antico” delle sezioni unite della Cassazione. Per la gerarchia delle fonti la Suprema corte non è più suprema.