(foto LaPresse)

Dice Naomi Klein che forse i no global non hanno capito il suo libro

Antonio Gurrado

L'autrice di No Logo spiega in un'intervista che lei non ha mai patrocinato un ripiegamento nazionalista bensì un’apertura verso una comunità politica mondiale

Con quanta disinvoltura, con quanta nonchalance Naomi Klein ha sconfessato un buon decennio di battaglie ideologiche nel suo nome. Parlando di tutt’altro in un’intervista al Corriere, ha incidentalmente lasciato cadere la notizia che i no global italiani, che facevano casino in piazza ispirati dai suoi libri, sbagliavano a chiamarsi no global in quanto lei non ha mai patrocinato un ripiegamento nazionalista bensì un’apertura verso una comunità politica mondiale. Certo, oggi c’è il rischio che chi si proclama no global si senta dare del sovranista, causando un bel cortocircuito fra destra e sinistra; pertanto a Naomi Klein preme questo distinguo.

 

Fatto sta che, a partire dal giro del millennio, attorno a lei si era radunata una consorteria di entusiasti non molto lesti di comprendonio, a quanto pare, se hanno a lungo menato le mani in nome dell’ostilità alla globalizzazione dopo avere letto i libri di una pensatrice che vent’anni dopo avrebbe spiegato di essere stata, in realtà, favorevole alla globalizzazione. Oppure, e non saprei cosa preferire, i medesimi hanno menato le mani in onore di slogan ideologici confusionari, che a seconda dell’avversario cui si rivolgono – le multinazionali prima, i sovranisti poi – possono significare una cosa e il suo contrario, essere global e no global andando dietro allo spirare del vento: con quanta disinvoltura, con quanta nonchalance.

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