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Cosa non torna nella ricerca che ci assegna il primato del nepotismo nelle università

Antonio Gurrado

Perché lo studio dell'università di Chicago, realizzata dai cosiddetti cervelli in fuga, non rappresenta fino in fondo la situazione dei nostri atenei

La ricerca che ci assegna il primato del nepotismo nelle università delinea un'Italia provinciale, sospettosa, ingenua e pigra. Provinciale perché abbiamo garantito vasta copertura a questa ricerca in quanto condotta sì a Chicago ma da cervelli italiani emigrati. Sospettosa perché abbiamo preso per buono il balzano criterio seguito dai ricercatori per sondare il tasso di nepotismo: controllare l'incidenza di cognomi uguali fra strutturati della stessa università, dando per scontato che dove ci sono due che si chiamano uguale lì vi sia a priori del dolo. Ingenua perché non solo non abbiamo considerato il caso che possano esserci degli innocenti omonimi, ma nemmeno che buona parte dei parenti non porta lo stesso cognome quindi resta irrintracciabile. Pigra perché ci siamo scandalizzati per il sentore di nepotismo sottostimando l'elemento davvero scandaloso che emerge da questa ricerca pubblicata dalla National Academy of Sciences: è costumanza tipica italiana che nelle università insegnino professori nati nella provincia della sede accademica.

 

Ciò significa che o in Italia la sovrabbondanza di geni è tale che le università possano servirsi a chilometro zero, o che la prima colpa della liceizzazione dell'università italiana è di chi se ne lamenta: i docenti che non muovono le chiappe, restando a insegnare sotto casa e poi pretendendo che gli studenti vaghino in cerca dell'eccellenza accademica. Ma siamo pigri, ingenui, sospettosi e provinciali; quindi preferiamo addossare la colpa del malfunzionamento del sistema universitario al fantasma inafferrabile del nepotismo.

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