LaPresse/Xinhua

La politica cinese del cane unico fa bene ai cani

Antonio Gurrado

La notizia non è una novità, ma dieci anni fa l'uomo ci teneva a essere razionale, oggi si accontenta di essere animale

Se volete un'idea di come sia cambiato l'essere umano nel breve volgere di dieci anni, considerate la politica del cane unico che sta venendo attuata in Cina. Oggi si sono letti titoli allarmistici – tipo “La Cina dichiara guerra ai cani” – per una notizia dalla portata in fin dei conti limitata: la città di Qingdao, non propriamente l'ombelico del mondo, ha fissato il possesso legale di quadrupedi a massimo uno per famiglia. Capirai. La notizia è parziale, in quanto l'amministrazione comunale ha anche disposto l'obbligo di immatricolazione dei cani domestici e il divieto di abbandonarli e maltrattarli, oltre a istituire un'agenzia di adozioni per redistribuire i cani sovrannumerari. Già che c'era, ha anche diramato una lista di quaranta razze feroci da proscrivere; cercate “bambino sbranato dal cane” su Google e poi ditemi se non è una buona idea. Inoltre, la notizia non è una novità: una politica simile era stata proposta nel 2011 a Shangai ed era stata adottata nel 2009 a Guangzhou e nel 2006 a Pechino. La differenza è che oggi è partito l'irriguardoso e comodo paragone automatico con la politica del figlio unico, con annessa grossolana equiparazione della sorte dei quadrupedi a quella delle bambine abortite negli anni '80 e '90. Nel 2006 invece la stessa notizia era stata commentata così dalla presidentessa di un'associazione internazionale per il trattamento etico degli animali: “Questa legge fa il bene dei cani. Limitando il possesso a un solo cane per famiglia, si bloccano gli acquisti d'impulso, si incoraggia una cura più attenta e si riduce il numero di cani abbandonati”. Dieci anni fa l'uomo ci teneva a essere razionale, oggi si accontenta di essere animale.

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